Musetti e il super coach? La polemica e il valore di un aiuto esterno

Lorenzo Musetti, al termine della partita vinta (a sorpresa) con Novak Djokovic, ha scritto sulla telecamera un messaggio eloquente “Super coach?”. Con il gesto, il carrarino ha preso le difese, in maniera eloquente, del proprio coach Simone Tartarini. Ma cosa ha fatto scattare la polemica?

La polemica (sterile)

Galeotto fu (citando il caro Dante visto che parliamo di un fatto tutto toscano) l’articolo di Paolo Bertolucci alla Gazzetta dello Sport. Il campione di Coppa Davis 1976, con motivazioni ben descritte e senza screditare il lavoro di nessuno, ha suggerito a Matteo Berrettini e Musetti di affiancare al proprio staff un super coach, così come ha fatto Jannik Sinner con Darren Cahill. Alcuni giorni dopo, sono arrivate anche le parole di Diego Nargiso a rincarare la dose e la tensione è sfociata con la risposta di Tartarini (coach di Lorenzo) e dello stesso tennista carrarino che, dopo la vittoria con Djokovic, ha voluto sbeffeggiare i detrattori con la frase “Super coach?” scritta con il pennarello sulla telecamera.

Il valore di un super coach

Adesso che abbiamo chiarito la vicenda, entriamo nel lato tecnico (che è ciò che più ci interessa). Inutile girarci attorno, la vittoria contro il numero 1 del mondo può essere finalmente il momento di svolta per Musetti che, finora, ha vissuto una stagione da incubo. I risultati non sono mai arrivati e solo al masters1000 di Montecarlo sta dimostrando di valere la classifica che occupa (tornei horror vissuti in Australia, Sud America e Stati Uniti nel 2023). Stesso discorso per Berrettini che, purtroppo, si è dovuto ritirare prima del match con Holger Rune per colpa di un infortunio (anche lui ha trovato a Montecarlo le sensazioni giuste per iniziare a vincere).

Momenti di difficoltà che capitano nel tennis e che, ovviamente, portano con loro degli interrogativi per provare a migliorarsi. Una via per un miglioramento sicuro, come dimostrano i risultati dei giocatori che vi andremo ad elencare, passa per l’assunzione a tempo pieno (o anche solo per alcuni tornei) di un super coach.

Gli esempi

Iniziamo con l’esempio nostrano: Sinner. Dopo la separazione burrascosa con Riccardo Piatti, l’altoatesino ha vissuto momenti molto difficili con il solo Simone Vagnozzi all’angolo tecnico. Dalla scorsa estate, invece, con l’inserimento di Cahill, Jannik ha raggiunto un livello di gioco mai avuto prima, che l’ha portato (and counting) fino al best ranking al numero 8 del mondo. Una crescita importante, con i risultati che sono arrivati su ogni superficie di gioco.

Prendendo come esempio i migliori del mondo, possiamo notare come anche loro si siano affidati a coach esterni nel corso della propria carriera. Djokovic ha assunto (adesso a tempo pieno) Goran Ivanisevic e per anni è stato seguito da Boris Becker e Andre Agassi. Rafael Nadal ha affiancato in passato Carlos Moya allo zio Toni. Stesso discorso per Roger Federer quando si è fatto aiutare da Ivan Ljubicic. Per non parlare dei casi riguardanti Andy Murray (Ivan Lendl), Grigor Dimitrov (Agassi), Felix Auger Aliassime (Toni Nadal) e Stefanos Tsitsipas (che ha interrotto da poco la collaborazione con Patrick Mouratoglou).

In definitiva, l’assunzione di un super coach non è un tradimento a chi ti ha portato fino al professionismo ed è riuscito a farti emergere, ma un ulteriore step per crescere e arrivare fino ai massimi livelli del tennis. La storia, almeno in questo caso, può insegnare qualcosa a tutti.

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