In principio furono gli inglesi, poi arrivarono gli americani. Mentre al di qua dell’oceano imperversavano già le sgambate dei campioni sui prati verdi di Wimbledon, dall’altra parte dell’Atlantico un popolo si metteva in cammino per prendere in mano le redini del tennis.
Era l’agosto del 1881 quando nacquero i Campionati Nazionali degli Stati Uniti d’America, grazie alla meritoria iniziativa di un giovane studente di Harvard, Richard Sears, che divenne in seguito il primo campione del torneo. La prima edizione si svolse sull’erba di Newport, nel Rhode Island, dove ancora oggi viene ospitato un torneo Atp e dove sorge il prestigioso museo del tennis della Hall of Fame.
Sempre agli americani si deve il fatto che il tennis sia presente, dal 1900, alle Olimpiadi, con ben 5 discipline. Furono loro i primi a organizzare, infatti – ben prima degli inglesi – il torneo di doppio maschile (1881), di misto (1887) e femminile. Proprio dai Giochi di Parigi, grazie a questa iniziativa pionieristica, tutte le altre discipline olimpiche furono obbligate a presentare alle gare atlete donne.
Nel 1911 la prima “rivoluzione” torneo che abolì la formula del challenge round, divenendo così il primo campionato in assoluto ad usare il metodo dell’eliminazione diretta nel tabellone fin dal primo turno. In quegli anni nacque il mito di Bill Tilden, che con dieci finali raggiunte e sette titoli conquistati rimane ancora oggi l’uomo dei record.
I tennisti americani si trovarono ben presto a confrontarsi con i loro rivali europei che, con il passare degli anni, frequentarono in maniera sempre più assidua il torneo. In questo senso, un ricordo epico è quello della finale del 1936 tra il giovane statunitense Donald Budge e l’inglese Fred Perry, vinta da quest’ultimo per 10-8 al quinto set.
Dopo la Guerra, in campo maschile, nacquero le leggende di Jack Krmaer e Pacho Gonzales, mentre tra le donne brillavano le stelle della Mallory, la Wills, la Marble, la Osborne e la Gibson. La più luminosa in assoluto, in quel periodo, fu però la stella di Maureen Connolly, la prima vincitrice del Grande Slam nel 1953.
Nel resto del mondo, però, non stavano certo a guardare e gli anni 50-60 si caratterizzarono per la repentina e travolgente ascesa dei giocatori australiani, che riuscirono dapprima a combattere lo strapotere a stelle e strisce con fenomeni come Sedgman, Cooper e Hoad, e poi a prendere letteralmente in mano lo scettro del gioco con Ken Rosewall, Rod Laver, Roy Emerson e John Newcombe. La stessa cosa successe anche in campo femminile con Margaret Court che arrivò a dominare l’intera scena mondiale.
I tempi erano maturi per un’altra, fondamentale, rivoluzione. Era il 22 aprile 1968 e l’avvento dell’era open mandò in pensione il dilettantismo aprendo per sempre al professionismo. I Campionati Nazionali Americani divennero Us Open.
Arriviamo così all’era moderna. E’ il 1978 quando il torneo cambia definitivamente superficie, diventando il primo slam a disputarsi sul cemento. La prima edizione su questa superficie viene vinta da Jimmy Connors in una epica battaglia contro Bjorn Borg. Di lì in poi è storia moderna, con le indimenticabili firme dei vari McEnroe, Lendl, Sampras e Federer ad arricchire un albo d’oro straordinario.
E ancora oggi, a 136 anni di distanza, settembre, per gli appassionati del nostro sport, significa una cosa e una sola: New York.
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