La scorsa settimana Dominic Thiem ha ufficialmente appeso la racchetta al chiodo tra le ‘mura amiche’ dell’Atp 500 di Vienna, al termine del match di primo turno perso contro il nostro Luciano Darderi. Un ritiro, quello del 31enne austriaco, meditato per diversi mesi ed annunciato dopo una lunga serie di problemi fisici – il più grave al polso – che gli hanno impedito di esprimersi a quei livelli che lo portarono alla conquista dello US Open 2020 e al raggiungimento della terza piazza del ranking mondiale.
Thiem: “Il modo in cui pratichiamo il tennis non è salutare”
In una lunga intervista concessa ai microfoni del Guardian, Thiem si è soffermato proprio sul suo saluto al tennis giocato, lasciandosi andare anche a uno sfogo contro i ritmi forsennati che il calendario prevede e contro l’enorme sforzo fisico che questo sport pretende al giorno d’oggi.
“Per arrivare a competere a così grande livello nel tennis devi spingerti al massimo delle tue possibilità, io passavo ore sul campo a spingere a tutta. Questo è sempre stato il mio stile di gioco ma credo che sia così per tutti, non puoi pensare di arrivare e stare tra i migliori senza dare il tutto in allenamento“, ha sottolineato Thiem.
“Mettere la massima intensità in ogni colpo è stata sempre la mia miglior qualità, ma questo alla lunga ha pesato. Negli ultimi anni ho trovato molto difficile mantenere quel volume di allenamento. Il polso non poteva sopportare quella quantità di allenamento e, inoltre, le altre parti del corpo iniziavano a sentire la fatica e fastidi sempre più frequenti”, ha poi aggiunto.
Insomma, Dom ritiene che sia stato proprio l’eccessivo stressare di alcune parti del suo corpo a far sì che la sua carriera si sia conclusa anzi tempo. Ci ha tenuto a ribadirlo chiaramente nel prosieguo della chiacchierata: “Penso che il modo in cui pratichiamo questo sport non sia salutare e ad un certo punto qualcosa di rompe. È una cosa che si vede in quasi tutti i giocatori, non c’è tennista che non abbia subito infortuni nel corso della carriera. E questi arrivano anche a ragazzi molto giovani, di 20 anni. Questa è la foto del tennis professionistico oggi”.
Nel caso di Thiem, a rompersi irrimediabilmente è stato il suo polso. “È il problema più grave che ho avuto”, ha confermato l’austriaco. Che poi ha sviscerato la questione andando nel dettaglio: “Non è una sorpresa perché ovviamente ho usato molto il polso, soprattutto sul diritto, ed era una delle mie parti più importanti negli ultimi istanti prima di colpire la palla, un forte uso del polso per accelerare un po’ di più e dare rotazione. Probabilmente l’ho fatto un milione di volte e, come ha detto anche il dottore, questo continuo stress ha fatto sì che il polso si indebolisse e poi rompesse. Da allora in poi non ho avuto più la stessa sensazione e niente è stato come prima“.
E in effetti, quella scesa in campo dopo l’infortunio non è mai più stata la versione originale di Thiem, il quale ha vagheggiato per Challenger e qualche torneo Atp, non riuscendo ad andare oltre la 72esima posizione della classifica. Il suo percorso, adesso, si concluderà fuori dai primi 300 al mondo.
Proprio la storia di Dominic rappresenta un utile spunto di riflessione per i vertici del tennis, che, forse, dovrebbero porsi dei punti interrogativi molto seri e cercare di trovare una soluzione per rendere il gioco della racchetta più sostenibile per il fisico degli atleti. In tal senso, pressioni sempre più forti arrivano dal sindacato dei tennisti – PTPA – fondato recentemente da Novak Djokovic. Staremo a vedere.
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