Agassi e i suoi rivali: dalla faida con Becker agli insegnamenti di Sampras

In un’intervista delle ultime settimane, Andre Agassi ha rivelato dei racconti molto intimi dei propri rivali, su tutti Boris Becker e Pete Sampras. L’americano ha rivelato di essere stato insultato profondamente dal tedesco dopo la semifinale del 1995 a Wimbledon e di aver appreso molti insegnamenti di vita dal rivale storico.

La faida con Boris

Tra fine degli anni ’80 e anni ’90 Agassi e Becker si sono sfidati ben sei volte nelle ultime fasi degli slam (cinque volte in semifinale e una ai quarti). Proprio una di queste, la semifinale del 1995 a Wimbledon, ha segnato una frattura profonda tra i due (confermata dalle parole di Boris del 2009 a Spiegel). Il tedesco si imponeva sul numero 1 del mondo, prima di arrendersi in finale contro l’imbattibile Pistol Pete.

La cosa peggiore è ciò che ha detto Boris alla fine della semifinale del 1995: nessuno ti ama, fai parte di una élite, sei aiutato dai direttori dei tornei e non riesci a vincere con condizioni di vento. Mi ha fatto male, è andato sul personale e mi ha lasciato una profonda ferita.

Adesso, però, devo ammettere che mi piace Boris e che ci possiamo sedere insieme a cena e parlare di tutti i sentimenti negativi che abbiamo condiviso durante gli anni della gioventù. Le nostre vite, però, non sono più connesse. Ci vediamo solamente in qualche centrale in giro per il mondo durante alcune cerimonie di massimo tre minuti. Questo è quanto”.

La stima per Pete

Nella prosecuzione dell’intervista, Andre ha rivelato i sentimenti per il suo storico rivale, Sampras.

C’è molto rispetto tra noi. Credo che senza Pete avrei vinto di più, ma appreso di meno.

Ci siamo entrambi spinti a dare di più. C’è una cosa strana nel tennis: l’egocentrismo e il narcisismo ti possono portare alla vittoria così come il lavoro maniacale e l’isolazione. Pete ed io abbiamo condiviso le nostre vite e i nostri destini. Eravamo insieme tutto l’anno, ma soli. Se non ci fosse stata una rete a separarci ci sarebbe stato un muro”.

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