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Quello che i moralisti non dicono sulla residenza fiscale di Jannik Sinner

Insieme all’entusiasmo e alla riconoscenza, il successo di Jannik Sinner porta con sé, immancabilmente, anche una buona dose di polemiche. Il vizio italico di cercare sempre e comunque il lato oscuro di una storia è una questione endemica, così come la necessità di “giornaloni” e “giornaletti” di buttare benzina sul fuoco per sfruttare il momento e racimolare un po’ di traffico.

E quale poteva essere la polemica su Sinner, in mancanza di altri argomenti? Il sempreverde tormentone della sua residenza fiscale, che, come noto, è situata in quel di Montecarlo, dove Jannik oltre che a risiedere, si allena nei periodo in cui non è in giro per il mondo a giocare (e spesso vincere) tornei.

Argomento troppo ghiotto per i moralisti da salotto o da divano, impossibile lasciarselo sfuggire. Prendiamo come paradigma un articolo pubblicato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. In verità non è un vero e proprio articolo, ma la risposta alla domanda di un lettore nella sua rubrica delle lettere. Cazzullo, firma raffinatissima e assolutamente apprezzabile, non è nuovo ad attacchi verso Sinner per la questione della sua residenza fiscale.

Scegliamo lui per parlare della questione perché si differenzia, per toni e argomenti, dal magma informe dei “fenomeni” da tastiera, che fanno fatica a collegare il cervello ai polpastrelli prima di scrivere commenti al veleno. Il ragionamento di Cazzullo merita attenzione e rispetto, proprio per questo ci permettiamo di analizzarlo per dissentire.

Scrive Cazzullo: “Trovo discutibili sia la tempesta di melassa dei politici sui social – su questo, come non essere d’accordo? – sia certi titoli: «Il volto migliore del nostro Paese», «orgoglio italiano», «i grandi valori», «il suo esempio aiuta la società»… Perché se la valutazione non è sportiva, ma morale, allora il fatto che il nuovo portabandiera dello sport italiano abbia la residenza fiscale a Montecarlo, e quindi non contribuisca alla sanità, alla scuola, alla sicurezza, alle molte esigenze della comunità nazionale che rappresenta, dovrebbe farci dubitare non tanto di Sinner, quanto di noi stessi. Un popolo che in fondo si disprezza”.

E già qui cadiamo un po’ sul retorico.

Cazzullo poi cerca di scansare l’inevitabile contro-polemica, allargando il campo. “Sembra che ce l’abbia con lui (Sinner, ndr), non è così, quindi allarghiamo il campo, ad esempio al candidato alla presidenza di Confindustria Antonio Gozzi che ha l’azienda in Lussemburgo: come può rappresentare gli interessi degli imprenditori italiani? Se la fedeltà fiscale — che a mio avviso dovrebbe vincolare le persone fisiche più ancora delle imprese — non è considerata una condizione necessaria per esercitare una carica o un ruolo pubblico, all’evidenza è perché consideriamo lo Stato un nemico o comunque una cosa altra da noi”.

Il giornalista allarga il campo, noi invece lo restringiamo. Parliamo, nello specifico, del caso Sinner. Dunque, come noto, Sinner è un tennista. Un bravissimo, fenomenale tennista. Non è il candidato alla presidenza di Confindustria, non ricopre cariche né esercita ruoli pubblici. Vive in giro per il mondo per undici mesi all’anno, quando gioca rappresenta se stesso, non l’Italia, se non nelle brevi parentesi in cui gioca per la nazionale italiana come in Coppa Davis. Sinner, insomma, non vive né lavora in Italia. Vive a Montecarlo e lavora in giro per il mondo. Fondamentalmente è un italiano all’estero, come altri milioni di italiani che vivono, lavorano, guadagnano (dettaglio tutt’altro che trascurabile) e pagano le tasse all’estero.

La sua scelta di vita è perfettamente legale, oltre che comprensibile. Già, perché, quella del tennista è una condizione molto particolare. Non vogliamo metterci le fette di salame sugli occhi: Sinner ha scelto di vivere a Montecarlo per vari motivi, tra i quali probabilmente c’è anche il fatto che nel Principato si pagano tasse molto più basse rispetto all’Italia. Ma se così fosse cosa ci sarebbe di tanto sbagliato? Abbiamo detto che Sinner non vive in Italia, non lavora in Italia e la sua condizione di tennista è molto particolare, anche all’interno del panorama sportivo: i tennisti vivono e si mantengono da soli. Se vincono guadagnano tanti soldi, se non vincono no. Se vincono si accumulano gli sponsor, se non vincono no. Come ovvio, in questo momento della sua carriera, Sinner sta guadagnando un sacco di soldi e con questi soldi si paga tutto: staff, viaggi, servizi. Tutto. Gli bastano e gli avanzano? Certamente sì, abbondantemente. Ma quando un tennista comincia la carriera professionistica non sa come sarà né quanto durerà.

Conclude Cazzullo: “Mi dicono che sia ipocrisia, moralismo, retorica. Facciamoci un giro insieme in una scuola disastrata, in una caserma dove carabinieri rischiano la vita per 1.500 euro al mese, in un reparto di oncologia infantile, di malati terminali, o di qualsiasi ospedale”. Ma se non è moralismo questo, caro Cazzullo, allora cos’è?

Stefano Minnucci

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