Distruggere una racchetta è un segnale di debolezza o una precisa scelta strategica? A primo impatto sembrerebbe che i tennisti si cimentino in tale tipologia di azioni perché in preda alla frustrazione. Ma non è sempre e solo la rabbia che li porta a rendersi protagonisti di certi comportamenti. A sostenerlo è un personaggio che di tennis, nonché delle sue sfaccettature piscologiche, un pochino ne capisce. Ci riferiamo a Patrick Mouratoglou.
Durante una video-analisi condotta sui social, infatti, il noto coach ha spiegato che, in molteplici casi, la rottura di una racchetta non è una pura manifestazione di rabbia bensì una tecnica adottata dai tennisti per spostare l’inerzia del match dalla propria parte.
«Ci sono giocatori estremamente competitivi che si focalizzano su come ottenere la vittoria a tutti costi. Il successo è la priorità», ha affermato Mouratoglou su Instagram affrontando l’argomento del ‘breaking racquet’. La teoria del 53enne francese è che certi comportamenti, pur non essendo ideali per l’immagine e il portafogli, vengono adottati senza esitare dai tennisti se ritengono che le loro probabilità di spuntarla aumenteranno. «Sanno che il pubblico reagirà e li criticherà, ma accettano di essere odiati appena percepiscono che ciò può spingerli ad un livello di gioco superiore», ha aggiunto.
Peraltro, la rottura di una racchetta, ha spiegato Mouratoglou, può essere usata dai tennisti per sfiduciare l’avversario trasmettendogli la sensazione di trovarsi dinanzi ad un giocatore pronto a lottare in maniera veemente. Insomma, c’è il furore agonistico certo, ma ci sono anche elaborati ragionamenti dietro certe scelte apparentemente dettate dalla frustrazione.
La testimonianza di Mouratoglou postata qui sopra spiega bene tante “tecniche” adottate da Holger Rune durante il 2023. Il giovane scandinavo, prima di affidarsi a Boris Becker, era seguito proprio dal francese e, quando si è trovato in situazioni complicate, si è reso protagonista di svariati episodi al limite del regolamento. Non parliamo di un distruttore seriale di racchette, ma di un giocatore sempre pronto allo scontro con arbitro e spettatori, nonché spesso e volentieri aspro con gli avversari. L’obiettivo era palesemente quello di cercare di crearsi un nemico, in aggiunta all’avversario, per trarne un vantaggio psicologico e non solo. Tutta farina derivante dal sacco del coach transalpino, sembrerebbe.
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