Quando Jannik Sinner si è affacciato con effetto dirompente, ormai più di tre anni fa, al circuito professionistico, sono stati molti gli aspetti del suo gioco che hanno colpito da subito appassionati e addetti ai lavori. Tra questi, sicuramente, l’approccio mentale, decisamente inedito per un ragazzo che aveva appena 18 anni.
Fin da subito impressionava la sua tenuta, la sua forza, anche quando di fronte a lui c’erano avversari molto più in là con l’età e molto più esperti ed abituati a giocare a quel livello. In una delle sue prime interviste, lo stesso Jannik sottolineava come secondo lui “il 70 per cento del lavoro lo fa la testa, il 20 per cento il fisico e solo il resto lo fanno i colpi“.
Nei mesi e negli anni successivi, però, il quadro è un po’ cambiato e lui stesso è stato il primo a capire come lo scenario fosse ben diverso rispetto a questa semplificazione numerica. Il segreto del successo sta nella sintesi, nella miscela perfetta di questi tre macro-aspetti del gioco di un tennista: mente, fisico e colpi. Nessuno può sopravvivere senza gli altri e, soprattutto, non si può pensare di vincere (o addirittura dominare) senza che ognuno di questi tre “filoni” venga portato al massimo livello possibile.
Il lavoro che ha fatto – e che sta facendo – Sinner è il perfetto esempio di cosa significhi tutto ciò. Il primissimo Sinner, quello che ha dominato le Next Gen Atp Finals del 2019 e che ha stupito il mondo nel 2020, era un altro giocatore rispetto a quello di oggi. Un tennista più spavaldo, più “spericolato”, che si affidava al suo innato talento e alla sua naturale propensione a “tirare frigoriferi” sulle linee da fondo campo. Un gioco che sicuramente gli permetteva e gli avrebbe permesso di dominare contro molti, ma forse di non raggiungere i risultati che si era prefissato, ossia coltivare il sogno Slam e puntare a diventare il numero uno del mondo.
E così è cominciato un processo nuovo. Sinner, insieme a chi lo segue più da vicino, ha cominciato a mettere in discussione tutto, ben consapevole del fatto che il percorso non sarebbe stato né semplice, né indolore, né avrebbe portato a risultati immediati. C’era da lavorare in primis sul fisico, mostratosi ben presto inadeguato per competere ai massimi livelli, e contestualmente anche sul gioco, provando – anche a costo di sbagliare – ad uscire dalla comfort zone delle “saracche” da fondo campo.
Jannik l’ha fatto, sapendo che i risultati sarebbe arrivati con il tempo. Non è raro, andando a spulciare le interviste post-partita degli ultimi due anni, trovare dichiarazioni di Sinner che, magari anche dopo una deludente sconfitta o una vittoria non esaltante, si diceva soddisfatto per le soluzioni messi in campo, per quanto aveva provato a fare. Ora che i nodi cominciano ad arrivare al pettine, quelle dichiarazioni assumono un significato ben preciso. Jannik sapeva (e sa) di essere nel mezzo di un cammino che proverà a portarlo ai massimi livelli, dimostrando una consapevolezza e una maturità decisamente invidiabili per un ragazzo della sua età.
Ma torniamo ai tre aspetti chiave del gioco di un tennista: testa, fisico, colpi. Cambiando il suo gioco e uscendo dalla sua zona di comfort, Sinner ha cambiato anche atteggiamento mentale. Il lavoro fatto ha creato più incertezze, più inquietudini e quello che sembrava essere il suo principale punto di forza – la tenuta mentale – è stata messa in discussione. Anche qui Jannik è stato bravo ad accettare tutto questo. Ad accettare che gli errori fanno parte del processo, ma sono fondamentali per il successo.
Qui sta la chiave del successo di Sinner: la gestione dei momenti chiave del match. È nella gestione di pochi punti che, spesso, si decide un match, soprattutto a determinati livelli. In quei punti, spesso, i tre aspetti trovano la massima sintesi espressiva. Il Sinner di tre anni fa, forse, aveva la spavalderia di affrontarli con maggiore sicurezza dei mesi e degli anni successivi, ma sicuramente non aveva la tenuta fisica e, soprattutto, la varietà tecnica e tattica per trovare le soluzioni giuste.
Il nuovo Jannik ci ha lavorato tanto, ci sta lavorando ancora – come affermato da lui stesso anche dopo il successo di Toronto – ma sembra proprio che ci stia arrivando. Come detto, è dovuto passare attraverso un percorso che ha messo in dubbio le sue certezze, ma è stato bravissimo a capire che se voleva arrivare al top questo percorso era tracciato e irrinunciabile.
Ora solo il tempo e i risultati ci diranno a che punto siamo con il processo. Ovviamente solo le vittoria conferiranno un significato a tutto questo. Però, ancora, riprendendo alcune parole recenti di Sinner, troviamo altri pezzi da unire al puzzle. Per esempio dopo la semifinale persa contro Djokovic a Wimbledon, molti hanno storto il naso quando l’azzurro ha affermato a fine partita di essersi sentito “molto più vicino, molto più alla pari nel gioco rispetto allo scorso anno”. Ma come? Nel 2022 ha perso 3-2 ed ha dominato i primi due set, mentre nel 2023 ha perso con un secco 3-0. Come fa a dire così?
Sotto la superficie, però, ci sono verità diverse. Il Sinner del 2022 ha sorpreso Nole nei primi due set, è vero, ma poi quando il serbo è rientrato in partita non c’è più stata storia. Nel 2023 è andata molto diversamente: tre set a zero, è vero, ma se andiamo a guardare i numeri scopriamo che i punti differenza tra i due sono stati “solo” dieci. Dieci punti su 202. Significa che se Jannik avesse vinto solo la metà di quei punti (cinque), i due sarebbero stati pari.
E qui torniamo al punto di partenza: gestione dei momenti chiave, capacità di superare i momenti di difficoltà. Qui sta il segreto del successo. Sembra una semplificazione, ma non è così. Il lavoro di un tennista che vuole vincere tutto, è mirato a questi momenti. Il Sinner di Toronto ha dimostrato che il processo è a buon punto, che la strada è giusta. E che ora bisogna continuare a lavorare in questa direzione.
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