Si può convivere con il rumore notturno delle bombe e sognare di vincere Wimbledon nella stessa notte? Evidentemente sì. E Novak Djokovic ne è la testimonianza diretta. Il 23 volte campione Slam è stato testimone oculare, in tenera età, di una delle guerra più devastanti dell’era moderna, quella dei Balcani.
“Io, Rafa e Roger abbiamo un passato molto diverso tra noi. Ho massimo rispetto per loro e non parlerò mai dei loro percorsi di vita. Ciò di cui posso parlare è del mio percorso, un percorso partito negli anni ’90 a Belgrado, in uno dei periodi più duri per il mio Paese e per tutta l’Europa”.
La guerra, quella vera. Ecco in quale contesto è cresciuto Nole. “Crescere in Serbia, in quel periodo, non è stato facile. Erano tempi davvero difficili, c’era l’embargo, dovevamo metterci in fila per avere una razione giornaliera di pane, di latte, un po’ d’acqua e le altre cose basilari per vivere. Queste cose ti segnano e, dal punto di vista sportivo, ti rendono più forte e più affamato“.
Condizioni che lo hanno reso il giocatore (e l’uomo) che è oggi. La sua forza mentale, la sua predisposizione e non mollare neppure nelle condizioni più difficili, la sua attitudine: deriva tutto da lì e a riconoscerlo è lui stesso.
“Tutto questo ha avuto una influenza decisiva sulla mia formazione. Il fatto che io venga letteralmente dal nulla e che abbia avuto un’infanzia così difficile insieme alla mia famiglia e al mio popolo mi ha reso sicuramente più forte a livello mentale. Nei momenti complicati, cerco sempre di ricordare da dove sono venuto. Tutto ciò mi ha sempre ispirato, motivato e spinto ad andare oltre i miei limiti“.
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