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Storie

“I nuovi Big Three? Con Lorenzo saranno Fab Four, ma deve imparare ad accettarsi”. Parla Simone Tartarini, ‘super coach’ di Musetti

“L’obiettivo di Lorenzo Musetti al Roland Garros è cercare di arrivare nella seconda settimana e giocarsela, ma bisogna affrontare una pallina alla volta. Nel prossimo turno Lorenzo affronterà un giocatore pericoloso come Shevchenko e dovrà variare molto il suo gioco per batterlo”. Sono le parole concrete e pragmatiche del coach di Musetti, Simone Tartarini, con il quale abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata. Nella seconda giornata del Roland Garros, durante il day off di Lorenzo tra primo e secondo turno, ci diamo appuntamento all’estremità del complesso sportivo, vicino i due campi di allenamento numero 15 e 16. Ci sediamo e tracciamo una linea sull’evoluzione tecnica e mentale di Muso, parlando anche dei suoi pregi e difetti.

Simone segue Lorenzo dall’età di 8 anni e l’ha portato fino al numero 18 (virtualmente 17) del ranking ATP quando ha da poco compiuto 21 anni. Insieme hanno vissuto una parte di vita e si conoscono perfettamente, si cercano. Hanno un rapporto vero e di reciproca fiducia. Quindi basterebbe solo questo per smettere una volta per tutte di parlare di supercoach vari per Lorenzo Musetti. “Quello che conta davvero è sentirsi bene quando ci si allena”, ci dice Tartarini, giustamente, quando gli chiediamo come deve essere un rapporto tra un coach e il suo giocatore. Ma quando farà Lorenzo il salto in top-10? “Quando riuscirà a mantenere questa intensità per tutto l’anno”. Infine una considerazione su quali sono le cause della crescita del movimento italiano (a questo proposito vi invitiamo a leggere anche un approfondimento).

Partirei dallo stato di salute di Lorenzo, che dopo il match contro Ymer ha detto di aver avuto problemi fisici.
“Ora fortunatamente sta meglio, ma è stato quasi un miracolo aver giocato quel match, perché il giorno prima ha avuto seri problemi di stomaco ed è stato in camera l’intera giornata, senza colazione, pranzo e cena. Il medico aveva escluso la presenza di virus per cui la soluzione è stata tanto Buscopan e Malox. E il giorno dell’incontro, quando finalmente abbiamo iniziato il warm up tennistico, faceva ancora fatica a scambiare con lo sparring partner, ma gli ho detto di provare comunque. Contro Ymer è stato bravissimo, soprattutto mentalmente, visto che ha dovuto gestire anche dei crampi avuti durante il terzo set”.

Peraltro non è nemmeno la prima volta che accade…
“No, infatti, gli succede quattro cinque volte l’anno. Dipende dallo stress, non da cosa mangia. Lo scorso anno è successo ad Amburgo, Indian Wells, a Parigi Berci. Lui è uno che scarica molto la tensione nervosa sullo stomaco”.

Ora c’è Shevchenko, un avversario da non sottovalutare che si trova in uno stato di forma. Quale potrebbe essere la chiave per superarlo?
“Vero, non va sottovalutato. Shevchenko gioca molto bene a tennis, ha dei colpi di base buonissimi, tira molto forte, con poche rotazioni, è un giocatore molto pericoloso. Ma è chiaro che quando Lorenzo sta bene riesce a far giocar male parecchi avversari, con le sue variazioni. Quindi la chiave sarà variare molto il gioco, soprattutto usando palle molto alte, far girare la palla. Perché se invece gioca di ritmo, rischia poi di entrare nella sfera del suo avversario. E poi abbiamo anche dalla nostra parte l’esperienza, visto che Shevchenko non ha mai giocato sulla terra 3 su 5. Però la guardia deve rimanere alta, perché stiamo parlando di un giocatore in piena fiducia, in piena ascesa, un giocatore che potrà finire tranquillamente tra i primi 50, senza problemi. Anche perché sul veloce è ancora più pericoloso”.

Foto Atp Tour

Poi Norrie e Alcaraz ragionando in termini di seeding. Dove può arrivare Lorenzo qui a Parigi?
“Gli Slam sono diventati troppo complicati, quindi è giusto vedere una partita per volta. Sui prossimi turni si ragionerà strada facendo. È chiaro che idealmente l’obiettivo è cercare di arrivare nella seconda settimana e di giocarsela, però bisogna giocare una pallina alla volta. Il tennis sta diventato uno sport sempre più complicato”.

Quali sono i vostri obiettivi in termini di ranking? Ora virtualmente è numero 17.
“La classifica è fondamentale perché rappresenta la tua carta di identità, il termometro dell’attività che svolgi. Ma i nostri obiettivi non sono quasi mai legati al ranking. Non bisogna soffermarsi troppo sul ranking, perché a volte ci sono delle stagioni che possono andare meno bene di altre, dove fai investimenti a livello fisico e tennistico, e nelle quali potresti anche avere delle regressioni. E poi magari riesci a tornare facilmente più avanti rispetto a dov’eri prima. In ogni caso speriamo di rimanere nei primi 20, consolidando quello che ha fatto l’anno scorso. Vorrebbe dire aver fatto una gran bella stagione. Mentre il prossimo potrebbe entrare nei primi 10. Lui chiaramente vorrebbe raggiungere la top 10 già quest’anno, ma non è facile, anche considerando l’inizio di stagione”.

Qual è la sua arma in più per arrivarci? In tanti lo vedono come Fab Four, vicino a Sinner, Alcaraz e Rune.
“A differenza degli altri tre, lui è un po’ più indietro dal punto di vista della maturità mentale, anche se sul piano tennistico è meglio di tutti e tre. Parlando con tanti coach a livello internazionale, anche ex tennisti, mi viene sempre detto che Lorenzo è quello che gioca meglio a tennis. Ha dei colpi spettacolari”.

Foto Collage

Il talento in effetti è fuori discussione. Quando farà il salto in top 10?
“Quando riuscirà a mantenere questa intensità per tutto l’anno. Ora perde troppe partite quando alcune cose non gli riescono. I bravi invece portano a casa la giornata anche quando non riescono a giocare come vorrebbero. Si tratta di un problema mentale, che sta migliorando e che deve migliorare ancora. Perché quando gioca bene può battere chiunque. Invece perde ancora partite che non dovrebbe perdere. Perché ogni tanto va in frustrazione, soprattutto sull’aspetto tecnico. Ecco, deve andare oltre”.

Lorenzo è un ragazzo emotivo, che ha bisogno delle sue fasi di crescita. Abbiamo notato comunque una maturazione nell’atteggiamento, ora è più calmo e sicuro.
“In questo periodo sta lavorando con una ragazza, una psicologa. Deve imparare ad accettare che l’avversario quel giorno può fare meglio di lui. Riuscire a costruire quella struttura mentale che gli permetta di gestire un po’ meglio la sua emotività, perché è un ragazzo sensibile”.

Da bordo campo come provi a tranquillizzarlo?
“Cerco di farlo essere sempre positivo e propositivo. Perché lui va in frustrazione quando qualcosa sul piano tecnico non funziona, e diventa molto negativo con se stesso. Gli dico di incoraggiarsi sempre, questa è la cosa mentale che gli chiedo. Soprattutto quando le cose non vanno bene”.

E qual è il suo atteggiamento di fronte alla sconfitta. È uno che “rosica”, che non ci dorme su?
“Lui non accetta il fatto di non riuscire ad esprimere quello che sa fare. Un aspetto che gli succede anche durante una partita, non necessariamente nella sconfitta. Perde partite perché va in frustrazione non riuscendo a fare cose che secondo lui devono riuscire bene in quel momento. È lì il problema, deve accettare che quel giorno quelle cose non funzionano e farne altre, rimanendo comunque nel match”.

Bene, direi che il piano mentale lo abbiamo chiarito. Su cosa state lavorando invece dal punto di vista tecnico e tattico?
“Tatticamente sui colpi di inizio gioco. Cerchiamo sempre di rafforzare servizio e uscita dal servizio, provando a consolidare di più l’uscita col dritto, con lo sventaglio, perché comunque è un colpo dove lui riesce ad imprimere più energia, a destabilizzare maggiormente l’avversario. Anche con Ymer, quando riusciva a girarsi col dritto in partenza, ha dimostrato di avere più il controllo del gioco, nonostante il suo rovescio sia un colpo bellissimo. Ma ovviamente è sempre meno pesante rispetto allo sventaglio.

Poi lavoriamo sulla risposta, partendo da dietro, ma cercando subito di avvicinarsi. Il problema più grosso è il fatto di non avvicinarsi dopo aver colpito. Lui sulla terra ha bisogno del suo spazio per colpire la palla, per cui la partenza da dietro non è un grosso problema. In generale la tendenza sulla terra è stare dietro, per poi colpire e avvicinarsi. Lui ogni tanto colpisce ma fa il conservativo, e rimanendo dietro non riesce poi ad aggredire.

Foto Twitter Barcelona Open Banc Sabadell

Modificare tecnicamente il servizio è ancora una priorità come qualche tempo fa?
“No, ora la strada l’abbiamo trovata, con i piedi larghi e caricamento. Serve piuttosto consolidare questi aspetti e farla sempre meglio, senza mettere elementi aggiuntivi. Sulla risposta, invece, proviamo anche a introdurre anche altre cose, alcune varianti, provando qualche volta ad avvicinarsi, a girare più spesso sul dritto anche sulla seconda. Insomma, provare delle soluzioni alternative, varianti per evitare che poi l’avversario possa adeguarsi troppo”.

Lorenzo è un giocatore estroso, ti arrabbi se qualche volta esce dagli schemi?
“Il suo estro è importante, necessario. Ovviamente però, soprattutto nei colpi di inizio gioco deve essere un po’ più strutturato, più monotono e meno estroso. Infatti un po’ mi arrabbio quando ad esempio col servizio fa bene, ma poi esce con il rovescio su una palla centrale e parte con lo scambio, invece di giocare un winner. Poi nello scambio chiaramente il suo estro, inteso come variazioni, è utilissimo e fa la differenza. Quando varia fa giocare molto male i suoi avversari, perché sono poco abituati ai continui cambi di gioco, taglio, veloce, palla alta, palla corta”.

Un pregio e un difetto. Partiamo dal suo difetto.
“L’ostinazione a voler colpire per forza bene durante una partita, anche quando qualcosa non va. Deve capire che nella vita bisogna anche sapersi adattare. Ogni tanto gli dico di provare a fare meno l’architetto e più il muratore. Penso a partite in cui devi girarti le maniche, come per esempio la partita persa contro Hanfmann, quando ha continuato ad arrabbiarsi perché non riusciva colpire a causa del poco spazio a disposizione. Questo è un suo limite che deve migliorare. Deve imparare ad accettarsi e non fare sempre l’architetto”.

E un pregio?
“È un gran lavoratore, lo seguo da quando ha 8 anni e non mi ha mai detto “non ho voglia”, “questo non lo faccio”. E poi è un gran perfezionista, che ricerca sempre il massimo. Anche se in effetti quest’ultima caratteristica può avere anche dei risvolti negativi, se come ti dicevo prima si ostina a voler giocare sempre un tennis perfetto”.

Avete fatto un pezzo di vita insieme, ormai vi capite con uno sguardo. Si parla di supercoach, ma come dev’essere definito allora un allenatore che l’ha portato così giovane a numero 17 al mondo partendo da quando aveva 8 anni?
“Guarda, in tanti all’estero mi considerano un super eroe. L’Atp ci prende addirittura come un esempio da mostrare in giro, perché nel tennis moderno è una cosa talmente eccezionale. Venti anni era più facile, ma nel tennis moderno aver fatto quel che abbiamo fatto noi, partendo dall’attività under 10, internazionali juniores, i futures, mi vengono i brividi a pensarci. È come attraversare a nuoto l’oceano. Proprio l’altro giorno ero a Roma con Emilio Sanchez, che mi elogiava per il lavoro svolto, definendolo “stratosferico”. All’estero sono considerato tra i coach più importanti per quello che ho fatto, per aver strutturato un ragazzino e averlo portato a quei livelli lì, così giovane, senza mai andare male un anno. Qui invece c’è la moda perché Jannik ha cambiato allenatore. Ma cosa ha detto per esempio Zverev? Vorrei tornare ad avere un ambiente più familiare, perché alla fine quello che conta è sentirsi bene quando ci si allena”.

Foto Atp Tour

Quando ti senti felice, quando un coach si sente felice?
“Quando lo vedo sereno e fa le cose su cui lavoriamo. A volte magari preferisco che perda qualche partita facendo quello che stiamo percorrendo e su cui stiamo lavorando. Ovviamente ora si può anche permettere di perdere qualche partita, perché a 26 anni gli direi “oh, devi vincere e basta”.

In conclusione vorrei chiederti qualcosa sui next gen italiani. Guardando alla top 200 abbiamo la rappresentanza più alta, nettamente. Secondo te le cause sono da cercare nel lavoro della Fitp (consulenze, aiuti economici etc) o nel traino da parte degli italiani che hanno ottenuto risultati?
“Guarda, penso sia un mix. Sicuramente i next gen di oggi hanno senz’altro beneficiato del traino di Lorenzo, Jannik, Matteo, Fabio, perché di fatto abbiamo dimostrato che con il lavoro si può arrivare da qualsiasi parte. I nostri risultati sono stati un incoraggiamento sia per gli allenatori sia per i giocatori. Lorenzo con gli altri next gen che citavi giocava i tornei under 12, i tornei a squadre. Era un ragazzo di circolo, non certo uno inarrivabile. E ha vissuto con loro le trasferte in Toscana, in Liguria.

Altro aspetto riguarda la federazione. Noi siamo stato il primo progetto sovvenzionato dalla Fit a livello economico e di servizi. Siamo stati i precursori, grazie a Michelangelo Dell’Edera che ha dato lo spunto. Secondo me questa è stata la svolta, quando la federazione ha capito che questo era il percorso. Ora sta continuando a supportare questi progetti, tutti privati, a livello economico e di servizi (consulenze, fisioterapista, wild card) e tutto questo mix ha creato un movimento che può avvantaggiare tutti gli altri. Non è poco avere una struttura vera e propria che ti permette di concentrarti sul progetto”.

Ultima domanda, a proposito di giovani. Che consiglio daresti a un ragazzino alle prime armi?
“Più che al ragazzino, lo darei ai genitori. Ovvero, affidarsi a persone competenti e avere poi fiducia delle persone, altrimenti diventa difficile poter lavorare. Creare quindi un progetto attorno al ragazzo, dando fiducia a chi lavora con lui. Perché il nostro è uno sport difficilissimo, fatto di alti e bassi, e quindi bisogna dare fiducia”.

Stefano Minnucci

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