“Roma è sicuramente il torneo più speciale del circuito per il calore del pubblico. Si crea un’atmosfera incredibile e per gli italiani è più facile giocare. Diciamo che queste settimane sono davvero particolari per me, visto che oltretutto è l’appuntamento dove può raggiungermi facilmente la mia famiglia, i miei amici, dove è chiaro che ti viene da tirar fuori sempre il massimo”. Sono le parole di Lorenzo Sonego, che incontriamo mentre è in corso la prima giornata di qualificazioni degli Internazionali di Roma.
Appuntamento a 5 minuti di macchina dal Foro, al prestigioso circolo romano “Canottieri Lazio”, dove il talento torinese ha deciso, insieme al suo coach Gipo Arbino, di svolgere una sessione di allenamento con il cileno Nicolas Jerry, numero 56 del ranking Atp.
Lo raggiungiamo verso la fine degli allenamenti, intorno all’ora di pranzo. E lui ci accoglie con un sorriso contagioso e la sua consueta simpatia. Roma per lui rappresenta anche il primo Masters mille giocato in tabellone, nel 2016. “Ricordo bene la prima volta, quando partii dalle pre-quali e arrivai fino al tabellone principale, ricordo una grande partita con Sousa e già lì il calore del pubblico mi aveva colpito, mi avevano praticamente adottato”. Appunto, il termine che usa è perfetto, perché è esattamente quello che accade con Lorenzo in ogni partita importante: il popolo del tennis lo adotta quando lo vede lottare. Le mani e le braccia rivolte verso il pubblico per chiedere tifo, un linguaggio del corpo super contagioso che ti fa alzare in piedi e gridare. Lui è così, si diverte e fa divertire. “Occhio che se poi giochi contro Rune viene giù il Foro…”, gli diciamo scherzosamente. E lui ride.
Vorrei chiederti qualcosa sulla classifica Atp. Anche se il tuo mental coach Lorenzo Beltrame sostiene che non bisogna farsi assillare dal ranking, vorremmo chiedertelo ugualmente. Qual è il tuo obiettivo nel breve e nel medio termine in termini di classifica?
Vorrei cercare di migliorare i miei risultati nei Masters 1000 a la semifinale di Roma. Quindi un risultato ancora più grande della semi di Roma (raggiunta nel 2021, ndr); e negli Slam vorrei fare meglio degli ottavi, che rappresentano il mio miglior risultato. Sono queste le due cose importanti. Se poi accade, la posizione in classifica salirà di conseguenza”.
Per farlo serviranno anche migliorie. Su quali aspetti stai lavorando in questo periodo? Cosa vorresti affinare tecnicamente per sentirsi ancora più in fiducia sul campo?
“Dal punto di vista tecnico posso fare ancora grandi salti in avanti, devo cercare di essere più continuo in risposta, durante la partita devo essere sempre più aggressivo verso la rete. E poi devo cercare di comandare lo scambio, perché a questi livelli chi prende in mano il gioco è decisamente avvantaggiato rispetto al suo avversario. Quindi sono questi i due obiettivi principali sul piano tecnico”.
Una delle tue caratteristiche virtuose, ascoltando anche le parole del tuo coach, è l’atteggiamento rispettoso anche di fronte alla sconfitta. Sai accettarla e uscire dal campo con il sorriso. Aspetto non banale. In quest’ottica ti chiederei allora quanto si può imparare dalle sconfitte, quanto possono aiutare a fare ulteriori scatti in avanti…
“Sono le sconfitte che ti fanno migliorare (dice con convinzione, ndr) perché dalle sconfitte si riesce a vedere dove puoi lavorare e come puoi cambiare il tuo tennis per continuare la tua evoluzione. Quindi sì, le sconfitte sono fondamentali per crescere, sono quelle che mi hanno sempre aiutato più di tutto. In ogni caso, quando scendo in campo per me l’importante è cercare di dare l’anima e di avere il giusto atteggiamento, che è l’unica cosa che si può controllare in campo. Poi certo, ci sono anche i fattori che dipendono dall’avversario, dalle condizioni e da mille altri fattori che non puoi controllare. E quindi bisogna avere sempre più armi a disposizione per cercare di superare le difficoltà.
A proposito di armi che possono aiutare, volevo capire quanto pensi sia importante il mental coaching. Non tutti i giocatori se lo possono permettere quando sono agli inizi. Lo chiediamo a uno che ha una forza interiore incredibile come la tua.
“Ormai l’aspetto mentale è fondamentale come l’aspetto tecnico e l’aspetto fisico. Sono tre aspetti che vanno di pari passo, che hanno la stessa importanza. Tutti sanno giocare bene, per cui chi fa la differenza nei momenti importanti e nei momenti di difficoltà, chi non si abbatte, diciamo che ha più probabilità poi di portare a casa la partita. E come gli altri due aspetti, anche quello mentale va allenato tutti i giorni”.
Quanto può aiutare rivedere le proprie partite? Sei solito analizzarle, anche dal punto di vista del data analyst? Insomma, ti metti lì a spulciare errori, vincenti, percentuali?
“Eh sì, direi che è fondamentale. Sicuramente a questi livelli non si può lasciare più niente in balia del caso. Bisogna analizzare nello specifico quello che succede, anche perché ormai giocano tutti benissimo a tennis e questi aspetti possono fare la differenza”.
Vorrei farti una domanda più filosofico-emozionale, alla Marzullo, una domanda legata alla felicità. Un tennista secondo te quando può definirsi felice? Quando ha dato tutto quello che poteva sul campo (anche se non raggiunge il risultato atteso), oppure bisogna raggiungere necessariamente dei traguardi importanti, superare se stessi?
“Sinceramente io quando riesco a dare il massimo e vedo che il mio avversario è stato più bravo sono comunque contento e soddisfatto di quello che ho fatto e che sto facendo. Guardo il mio percorso, un percorso che dura nel tempo, so di avere dei margini e di dover lavorare. Nel tennis hai bisogno di tempo e le cose non si costruiscono in due giorni, quindi bisogna avere la tranquillità di uscire dal campo, di mettersi a lavorare e continuare sulla propria strada, andando avanti senza guardare troppo gli altri”.
Parliamo del tennis italiano e dei nostri next gen. L’altro giorno stavo analizzando il ranking e mi sono soffermato sui ragazzi tra i 18 e i 21 anni. Nelle prime 200 posizioni ci sono 27 next gen e di questi ben 8 sono italiani. Abbiamo la rappresentanza più alta, nettamente. A seguire c’è la Francia con quattro, e poi tutte le altre nazioni con due o una rappresentanza, come ad esempio la Spagna (anche se quell’unico iberico sembra viaggiare su un altro pianeta…). Insomma, si tratta di un movimento importante, ti vorrei chiedere se oltre al vostro traino sono i frutti del lavoro svolto a livello federale.
“Beh, sì, la Federazione ha fatto davvero un grandissimo lavoro dando l’opportunità a tanti giocatori di essere seguiti al massimo e nei minimi dettagli, attraverso consulenze, preparatori, allenatori di grandissimo livello che hanno fatto grandi esperienze. Quindi di sicuro rappresenta un validissimo aiuto. Lo è stato anche per me e Matteo (Berrettini, ndr), per Musetti, per tutti gli altri. Ci è stato dato un supporto importante dal punto di vista tecnico, ci ha dato una mano quando eravamo under con le wild card (aiuto importantissimo), ci ha sostenuto anche a livello anche economico. Per cui sì, posso dire che il lavoro che ha fatto la Federazione negli ultimi anni è qualcosa che ha portato il tennis italiano così in alto”.
A proposito di aiuti, nel circuito Atp cambieresti qualcosa dal punto di vista di una redistribuzione dei montepremi? Adesso si parla della possibilità di introdurre un salario minimo per i primi 300 al mondo, un aiuto a chi sta più indietro.
“Sì, ovviamente si sta lavorando tutti insieme per cercare di far crescere il tennis e aiutare quelli che sono più indietro in classica, perché alla fine il tennis è uno sport molto costoso, con tante spese, quindi è difficile guadagnare abbastanza per sostenersi se non sei nei primi 100 al mondo. Perciò ogni aiuto è importante per cercare di far salire il tennis e renderlo sempre più importante, anche perché ci sono sempre più ragazzi che si approcciano a questo sport”.
Visto che hai parlato di ragazzi, che consiglio daresti a chi sta iniziando ad entrare nei challenger?
“Di sicuro la cosa più importante è fare più esperienze possibili, anche all’estero, fare più partite, allenarsi cercando di non sottovalutare niente e non dare mai nulla per scontato. Perché per salire di livello bisogna stare attenti a tutto. Poi bisogna investire su se stessi, altro aspetto fondamentale. Cercando ovviamente di impegnarsi al massimo. Un’attenzione particolare poi va dedicata alla gestione della pressione e delle aspettative, perché sono aspetti che ti possono anche bloccare il percorso. Infine, proprio per evitare inciampi, c’è bisogno di investire nelle persone giuste.
Grazie Lorenzo, ultima domanda, secca. Qual è la partita più bella che ricordi?
“Te ne dico due, di sicuro quella con Djokovic a Vienna e poi con Thiem agli Internazionali”.
E chissà se ne arriveranno prestissimo anche altre di partite storiche, per fare in modo che possa spiccare il volo “da solo come un’aquila e non in uno stormo come fanno i corvi”, per dirla con le parole del suo allenatore Gipo, che da sempre lo segue e che adesso vuole vederlo volare ancora più in alto. Come tutti noi appassionati, del resto. Forza Lory.
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