Cervara, Dauzet e il «caso» Medvedev: viaggio nella mente di Daniil

Talento e solidità, ma anche un carattere unico nel suo genere. È Daniil Medvedev, un giocatore che chiede al pubblico di fischiarlo mentre si avvicina alla sua prima vittoria in uno Slam (US Open 2019). Il sapiente uso che fa del suo «Io» più profondo nel perseguire le ambizioni sportive, è qualcosa su cui il russo lavora da Wimbledon 2018, insieme a una mental coach francese, Francisca Dauzet, anche se il termine “mental coach” non soddisfa pienamente Cervara, colui che ha il merito di averli messi in contatto a fine 2016.

“È un campo talmente vasto che non mi sento qualificato per parlarne”, afferma Cervara in un’intervista rilasciata a Tennis Majors. Poi aggiunge: “Si tratta di quello che è racchiuso nel nostro cervello, ma che non riusciamo a esprimere, a spiegare con le parole, se non ci affidiamo a un professionista che ci aiuti a collegare tra loro i pensieri e a incanalarli nella giusta direzione. Francisca è quel tipo di professionista”.

Dauzet e il «caso» Medvedev

Medvedev, che scivolone col paragone Griner-Djokovic
Foto Atp Tour

Il tennis è uno sport in cui la forza mentale gioca un ruolo importante. Sempre ai microfoni di Tennis Majors, Dauzet si sofferma su tale tematica affermando: “Daniil necessita di lavorare su ognuno di questi aspetti, proprio perché è un essere umano. L’aspetto che più mi interessa è conoscere la persona, capire cosa lo spinge fino a quel punto e ancora di più capire cosa veramente vuole. Non ho alcun potere su di lui, non giudico la sua volontà o la sua assenza di volontà nel gareggiare. Anche se sono ovviamente interessata ai risultati, non sono lì per spingerlo a raggiungere gli obiettivi più alti. Sono lì a esplorare quelli più nascosti, a studiare i suoi comportamenti all’interno del suo mondo, per capire se c’è un ostacolo di qualche tipo. Delle volte è davvero sorprendente scoprire gli obiettivi di un atleta. Io vivo a suo ritmo, mi sincronizzo totalmente con la sua energia”.

La stessa Dauzet trova difficoltà a definire precisamente il suo ruolo all’interno dello staff del numero 3 al mondo: “Ho la qualifica di performance coach professionista per atleti di alto livello, che è un titolo dell’INSEP, potete scrivere questo. Sono sempre stata affascinata dalla natura dell’essere umano, sin da quando ero piccola. Quando avevo 17 anni, andavo ad ascoltare le letture di Françoise Dolto”. E quello di Medvedev, in effetti, è un caso affascinante…

“Quando parlo con una persona che sto aiutando, ricevo diversi tipi di informazioni, da diverse fonti. Sono un po’ come un’osteopata che tocca dei punti precisi per capire gli infortuni. Utilizzo immediatamente diversi metodi per comprendere le persone con cui lavoro. Più esse sono collaborative, più è facile il mio compito con loro. Questa è l’unica cosa che può dare risultati rapidi e Daniil è molto svelto. Quando fa suo quello che gli suggerisco, quando si concentra su di esso, e quando ha il desiderio di raggiungere in fretta un obiettivo, lo fa sul serio, è veloce a cogliere ogni suggerimento e il risultato è significativo e potente”, aggiunge Dauzet.

Il tennis è uno sport unico in quanto le certezze della settimana precedente vengono messe in discussione dai risultati di quella successiva. Così, come fa palestra a richiesta del suo preparatore atletico, Medvedev svolge degli esercizi mentali. Inoltre, la Dauzet fissa degli “obiettivi” annuali: “In primo luogo c’è la dimensione umana più profonda ed è necessario accettare dei compromessi con se stessi nel miglior modo possibile. Poi arriva la performance, la consapevolezza di ciò che questa comporta e di tutto l’impegno richiesto. Infine, si lavora insieme su processi puramente mentali e che l’atleta dovrà applicare sul campo, dove sarà da solo, e in base alle esigenze del momento. Durante la propria carriera, un tennista affronterà naturalmente diverse sfide, come i numerosi tornei o il ranking. Ma in ogni sfida c’è in gioco anche una posta più profonda e inconscia: cosa rappresenta questo risultato nella la mia storia, in relazione alla mia famiglia, al mio paese e alla mia immagine pubblica? Me lo merito? Il successo potrebbe essere un rischio per me? Non è cosa semplice. Gli sportivi hanno un breve lasso di tempo per farsi conoscere, non possono rimandare i loro obiettivi di 20 anni. Più si punta in alto, più si lavora duro, migliori saranno i risultati.”

La psicoanalista, in seguito, ricorda le impressioni avute dopo il suo primo incontro con il giocatore russo a ridosso della stagione 2016-2017, quando a 20 anni giocava nel circuito Challenger. “Dissi a Gilles che il ragazzo aveva un potenziale mentale enorme e una rara capacità di esplorare i suoi pensieri”. Dopo questo primo contatto, Medvedev raggiunse la sua prima finale ATP a Chennai e, a quel punto, Cervara gli suggerì di incontrare la Dauzet regolarmente proprio perché comprese che il ragazzo da solo era “incapace di incanalare i suoi istinti”. “C’era una parte di lui difficile da tenere sotto controllo” ricorda l’uomo che in quella fase non era ancora il suo allenatore a tempo pieno, ma era corresponsabile dei suoi progressi all’Elite Tennis Center a Cannes. “Ho avuto questo segnale un giorno, alla fine di una sessione di allenamento. Quel giorno è andato tutto storto, è stato un momento veramente difficile, sia per lui che per me. Ma dopo esserci tranquillizzati gli ho detto ciò che pensavo, cioè che quel lavoro su se stesso fosse indispensabile”.

Nonostante la finale a Chennai, i risultati di Medvedev sul campo tardavano ad arrivare. Aveva cercato sostegno psicologico altrove, perché pensava che il tipo di analisi di Dauzet lo avrebbe destabilizzato. Ma Cervara era ancora convinto che avrebbe funzionato. Conosceva la Dauzet da 10 anni grazie ad amici comuni. “Mi sono ritrovato molto nel suo approccio, profondo e completo, che non si limita ad una piccola parte della mente, come spesso accade, ma che prende in considerazione la natura complessa dell’essere umano nella sua interezza” dice Cervara. “Sia come persona che come coach, mi ha convinto. Daniil è una persona complessa, ricca e profonda ed è proprio per questo che ho pensato che fosse la migliore per lui”.

“Ciò che caratterizza un professionista durante la sua performance – aggiunge la Dauzet – è che è semplicemente diverso. Non è né più interessante né più intelligente, ha semplicemente un campo di esplorazione del suo inconscio quasi illimitato. Lavorarci insieme è un’operazione delicata perché si deve trattare il problema, pur lasciando libera quella sua parte che renderà la performance possibile. Posso solo essere cauta. Devo cercare di mettere ordine nel caos, perché è questo caos che determina le regole interne della persona con cui lavoro ed è condizione per una creatività durevole. È necessario accettare con rispetto i suoi meccanismi interni, anche se possono sembrare folli, perché è lì che è nascosto il suo genio. Questo è il caso di Daniil.”

Daniil Medvedev non era proprio in cima alle classifiche mondiali quando ha accettato una seconda proposta di Gilles Cervara di includere la Dauzet nel suo staff. “Dopo il Roland Garros del 2018 (eliminato al primo turno), la stagione non stava procedendo nel migliore dei modi, ho avuto la sensazione che non bastava il lavoro che stava facendo sul piano psicologico. Gli ho fatto promettere di riflettere sulla mia impressione”.

La sconfitta al secondo turno del torneo di s’-Hertogenbosch per mano di Verdasco ha fatto riemergere il suo stato d’animo più buio. “L’ho raggiunto al Queen’s e mi sono accorto che qualcosa non andava – continua Cervara -. Le sue espressioni erano vuote. Era 1 a 1 contro Djokovic in allenamento, non stava giocando neanche così male, ma era chiaro che non avrebbe vinto altri game. C’era qualcosa che gli mancava nel profondo”. Nel torneo è stato eliminato al secondo turno da Chardy.

Intorno a un tavolo da biliardo, il giorno in cui la Francia ha vinto la sua partita di coppa del mondo contro l’Argentina per 4-3, i due si sono presi del tempo per andare al nocciolo della questione. “Gli ho spiegato che pensavo avesse bisogno di lavorare con un professionista che lo avrebbe guidato a scoprire cosa stesse accadendo in lui e lui mi ha risposto «Ok, trovami qualcuno a Cannes». Gli ho detto che conoscevo già qualcuno, ma a Parigi: Francisca. E quando gli ho detto che sapevo già che non gli piaceva l’idea, mi ha zittito e risposto che era pronto”.

I due decisero che sarebbe stato perfetto iniziare dopo Wimbledon. Ma la sconfitta al primo turno contro Steve Johnson a Eastbourne gli aveva poi dato un senso di urgenza. “Facevo tutto il possibile con i miei mezzi”, dice Cervara. “Mi ricordo di aver cercato di riaccendere quella fiamma che non aveva più, mostrandogli sue foto con gli occhi infuocati di quando aveva vinto il suo primo titolo ATP (gennaio 2018). Ma si percepiva che il suo morale andava peggiorando sempre di più, ad ogni gioco e ad ogni punto perso”. E così Francisca Dauzet è arrivata prima di Wimbledon. Appena prima. “Ed ha avuto un impatto immediato”, ricorda Cervara. “Ha funzionato. Così di colpo. Sapevo che questa era la mossa vincente e ha funzionato come in un sogno, anche se non mi piace questa espressione… Daniil ha incontrato Coric al primo turno: un primo turno terribile per lui. Coric gli stava dando dei problemi e aveva appena battuto Federer in finale ad Halle”. Medvedev ha vinto quella partita 7-5, 6-2, 6-2 e ha raggiunto il terzo turno.

“È stato un grande risultato per noi in quel momento. E da allora, è ripartito in quarta. Stavamo giusto parlando di tornare ai Challengers, ma alla fine siamo tornati a disputare le qualificazioni dei Masters 1000”. Le vittorie dei tornei di Winston Salem e Tokyo hanno piazzato Medvedev tra i primi 20 al mondo. “Non si tratta di un sogno o di magia, ma è solo lavoro, lavoro, lavoro”, afferma Dauzet. Quindi sottolinea: “Sarebbe un abuso dire che il merito è solo mio. Ognuno ha il suo posto nel team di Gilles, che è responsabile dell’intero progetto e, grazie ai risultati ottenuti, Daniil ha fiducia nel lavoro di ciascuno di noi. È molto concreto e passa subito ai fatti”.

La Dauzet nega di aver previsto il percorso del suo giocatore, nonostante i fatti suggeriscano il contrario. “Nessuno avrebbe scommesso un euro. “È stato quando l’ho visto vincere partite e tornei per i quali non sembrava pronto che ho capito quel potenziale” dice Cervara. Poi aggiunge: “Analizzando i fatti, direi che Daniil è meno forte di questo o quell’altro giocatore, ma che comunque è in grado di batterli. C’era dell’altro che gli permetteva di mettere assieme tutti i pezzi. Ed è quello che Francisca è riuscita a cogliere”.

La psicoterapeuta è dietro ad alcuni episodi chiave del percorso evolutivo del russo, tipo i fischi allo US Open del 2019 a cui prima facevamo riferimento. “Lo avevamo previsto – spiega Dauzet -. Non era molto popolare. Giocava su campi minori. Veniva fischiato quasi subito. Abbiamo lavorato per renderlo un punto di forza. Stava giocando di fronte al pubblico americano che ama i vincitori, quindi forse alla fine avrebbero apprezzato la sua capacità di reagire in quel modo”.

In finale, Medvedev è arrivato vicino a sconfiggere Rafael Nadal e ha ricevuto una standing ovation per il suo coraggio. Dauzet ammette di aver aiutato Daniil ad abituarsi a essere più paziente quando si attendono dei risultati. “Ci possono essere degli ostacoli in un lavoro. E si lavora accettando le difficoltà e il tempo che serve. Quando la persona che segui si rifiuta di fare quel salto, è in realtà vicina a superare quegli ostacoli, è lì il nocciolo della questione ed è pronta per il passo successivo. Dire di no vuol dire essere più vicini al momento in cui si dirà di sì”. Dire di no alla terra battuta, così come Medvedev ha fatto per quasi due stagioni, per poi aprirsi ad essa ne è un esempio.

Ancora oggi, Francisca Dauzet accompagna Medvedev durante le prove del Grande Slam. E chissà che prima o poi non lo spinga in modo decisivo verso un insperato successo sulla terra di Parigi…

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