Stefanos Tsitsipas non potrà difendere il titolo conquistato lo scorso anno al Masters 1000 di Montecarlo. Il tennista greco è stato eliminato ai quarti di finale dallo statunitense Taylor Fritz, autore di una prestazione sontuosa, tanto da lasciare al campione in carica solo sei game in due set.
Una sconfitta che fa male al numero tre del mondo, che lunedì scenderà in classifica di due posizioni, superato da Casper Ruud e Daniil Medvedev. Tsitsipas puntava molto sull’inizio di stagione sulla terra europea, dopo uno swing sul cemento americano a dir poco deludente. “Il problema alla spalla ha condizionato la mia prestazione”, dirà al termine del match il greco, che, però, alla vigilia del torneo aveva rassicurato tutti sulle sue condizioni fisiche.
Non è la prima volta che Stefanos cerca giustificazioni. Proprio durante il Masters 1000 di Indian Wells di metà marzo, Tsitsipas s’è scagliato duramente contro gli organizzatori del torneo sulla scelta di palle da gioco troppo pesanti e molli, che non tengono già dopo pochi games e che soprattutto a suo dire hanno portato a gran parte degli infortuni subiti da lui e dai suoi colleghi nelle ultime settimane. Inoltre Tsitsipas si è lamentato insieme al collega Medvedev dell’eccessiva lentezza della superficie di gioco del torneo.
Soprattutto il tennista greco auspica, quindi, una scelta uniforme di palle soprattutto e di superficie che dovrebbero essere uguali in tutti i tornei. Posto che ogni giocatore ha indubbiamente le proprie preferenze di gioco legate non solo a questi due fattori, ma a molti altri (orari, abitudini, campo indoor o outdoor, umidità, temperatura, altitudine, rumore, luce, pubblico ecc), si rimane un po’ attoniti su come un professionista del calibro di Tsitsipas si possa essere espresso in questi termini. Lo sport professionistico, soprattutto ad alto livello, si fonda in primis sul principio di capacità di adattamento da parte dell’atleta alle condizioni esterne ed interne di gioco: i tornei sono infatti tutti diversi tra di loro per tutte le suddette condizioni di gioco ed allo stesso modo i vari match della stessa competizione: se giochi di sera c’è più umidità rispetto al mattino o il pomeriggio e le palle ne risentono di conseguenza. Idem dicasi per la superficie di gioco: se anche tutte i tornei che si giocano sulla terra battuta avessero una terra di identica marca e tipologia di terra, il risultato finale non sarebbe uguale a Madrid, Parigi o Città del Messico. Figuriamoci poi se a Madrid giocassimo a mezzogiorno con sole cocente e a Parigi alle ore 21 con una leggera pioggerella. E così pure per tutti gli altri fattori e parametri che concorrono alla gara, corde da tennis comprese.
Pertanto le considerazioni di Tsitsipas, volte ad uniformare palle e campi, lasciano implicitamente intendere che dentro di lui si nasconda una paura, un’insicurezza e dei dubbi sulle sue reali capacità di vincere e di arrivare ad essere il numero 1 del ranking ATP: la pressione su di lui è enorme in tal senso e sicuramente non è facile reggerla, ma un top player è tale anche per la capacità di dare risposte positive in campo di fronte magari a fattori negativi e sfavorevoli. Il tennis è uno sport individuale spietato, mors tua vita mea, in cui emerge soprattutto la capacità di adattamento all’ambiente di darwiniana memoria: chi è stato numero 1 ha avuto questa capacità, non necessariamente accompagnata da doti tecniche eccezionali.
Il resto sono solo alibi che portano alla sconfitta e al fallimento, spesso fomentati da allenatori e genitori; i tennisti italiani sono spesso infortunati e questo vuol pure dire qualcosa: l’infortunio, infatti, è una grande fuga dalla realtà. Tutti sanno che gli italiani non sono fatti per gli sport individuali, è una prova troppo dura per il nostro DNA italico! Il campo da tennis è un’arena fra gladiatori, chi non ha spada e carattere non può farcela.
Poi è opportuno aggiungere che la scelta delle palle, superfici, orari di gioco e molto altro la fanno gli sponsor che hanno un potere illimitato nel nome del Dio denaro e che hanno già cambiato molte regole del tennis e di altri sport: pensiamo ai Mondiali di calcio in Katar lo scorso inverno. Si sono in pratica stravolte le regole gravitazionali…. Pensare, quindi, che i giocatori possano cambiare le regole del gioco uniformandole è pura utopia; e poi sarebbe impossibile mettere d’accordo 1000 tennisti ATP con gusti e preferenze diverse. Forse solo Federer, Nadal e Djokovic sono riusciti ad assoggettare gli sponsor ed il board ATP alla loro volontà: questo perché questi tre campionissimi erano più forti degli sponsor stessie del sistema tennis.
Nel tennis, come nella vita, pensare di omologare è un’idea fallimentare in partenza, poiché non esistono due persone, cose o situazioni uguali alle altre: in ogni secondo di gioco o di vita sei chiamato a risolvere un problema contestuale diverso. Ce la fa chi ha carattere. Non sempre chi vince è il più bravo, ma è sicuramente quello con il carattere più forte. Chi vuol uniformare sono coloro che pensano alla sconfitta ed al come evitarla: il pensiero di perdere genera in loro un’ansia insopportabile che può essere in parte placata da paletti e parametri di gioco assunti in modo illusorio come garanzia di vittoria. Non è così però, è solo il primo passo per essere sempre più perdenti. Per essere, invece, vincenti bisogna prepararsi ad affrontare la battaglia, è solo attraversando la “lotta” che se ne può uscire vincenti nella testa anche dopo un match perduto. Ma la vera vittoria non è il singolo match, ma l’acquisizione di un più alto livello di gioco che ti fa poi vincere i tornei.
Il male al braccio a Tsitsipas glielo fa venire l’ansia e il pressing psicologico di suo papà che da mastino napoletano gli fa perdere la voglia di giocare. Le doti da guerriero non s’improvvisano dunque, ma si costruiscono fin da bambini passo dopo passo: Djokovic ha vissuto la guerra dalle sue parti, per lui le palle da tennis vanno bene anche sgonfie.
Antonio Di Vita è istruttore di tennis e coach GPTCA, è da moltissimi anni collaboratore di Alberto Castellani
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