Quattro sconfitte negli ultimi sei incontri disputati. È questo il bilancio di Stefanos Tsitispas, che conferma come il greco non sia in uno dei suoi momenti migliori. Dopo la finale degli Australian Open persa contro Djokovic, vince un incontro il 14 febbraio scorso, nell’esordio di Rotterdam, contro il finlandese Ruusuvori. Torneo che poi è costretto a salutare per mano del nostro Jannik, che lo liquida in due set nel turno successivo. A Indian Wells perde contro l’australiano Thompson a causa soprattutto di problema fisico (“guaio alla spalla, non andò lontano”, aveva dichiarato prima del match). E adesso a Miami, dopo aver battuto il cileno Garin, arriva l’uscita di scena contro Khachanov, che ha fatto sì la sua parte ma, ammettiamolo, si è trovato di fronte un avversario privo di stimoli.
Ieri l’atteggiamento di Tsitsipas parlava chiaro. Sembrava stanco, sembrava volesse tornare a casa il prima possibile. Troppi errori (14 i gratuiti contro i 9 del 26enne russo), solo il 58% con la prima di servizio, 4 doppi falli. Ma soprattutto non è sembrato mai mettere in campo la giusta energia fisica e mentale. Sia chiaro, non è il momento delle critiche pesanti, e probabilmente è anche troppo presto per parlare di allarmi in casa Tsitsipas. Eppure qualche sospetto c’è, nonostante (per ora) si tratti solamente di piccoli inciampi.
Sono due, in particolare, gli aspetti che vorremmo mettere in risalto con questo articolo. In primo luogo il signor Apostolos, padre, mentore e coach di Stefanos. Se l’ostacolo al raggiungimento del gradino più alto del ranking fosse proprio il papà-coach, anziché la soluzione? Ci si chiede spesso, in effetti, quanto una figura così ingombrante possa far sentire libero il giovane Tsitsipas. Libero di emanciparsi, non solo nel gioco. E non stiamo parlando soltanto del greco.
Ascoltando le parole di Apostolos dello scorso anno, dopo la vittoria di Montecarlo, sembrerebbe tutto ok: “La parola libertà. Questa è la cosa più importante. Quando in famiglia senti la libertà di dire quello che vuoi e di esprimerti come più ti piace, hai più possibilità che si sviluppi in te qualcosa di speciale”. Ma siamo davvero sicuri che il 25enne greco si senta pienamente libero di esprimersi?
Perché non valutare l’innesto di un coach internazionale? Un ex tennista di esperienza, non per forza un super ex campione. Forse il papà Apostolos non basta più. E se proprio dovesse rimanere ancorato al figlio, potrebbe quantomeno condividere l’angolo box con qualcun altro. Vedi Vagnozzi – Cahill con il nostro Sinner. E per fare un esempio sul distacco parentale, Murray a 26 anni risolse il problema con Lendl. E vinse Wimbledon.
Il secondo aspetto da sottolineare riguarda invece il piano mentale, il suo atteggiamento. Nel media day di Miami il finalista dell’Australian Open ha messo sotto accusa il tipo di palle usate in quest’inizio di stagione, definendole pesanti, sostenendo che avrebbero causato (afferma in conferenza stampa) diversi infortuni come il suo in questo inizio di stagione. Non è la prima volta che tende a lamentarsi quando tutto non è a posto come lui vorrebbe.
Ma non è che ci si possa lamentare ogni volta che viene cambiata una palla, modificato un aspetto organizzativo, rivisitata la superficie di un torneo dopo aver passato una resina piuttosto che un’altra. Un vero campione dovrebbe sapersi adattare a qualsiasi situazione. Sì, è la capacità di adattamento che a certi livelli dovrebbe fare la differenza. Anche perché (al di là delle logiche legate agli sponsor che dettano la scelta delle palline), se tutte le condizioni fossero identiche (superfici, palline) ci sarebbe comunque una differenza di rimbalzo tra la mattina e la sera, per evidenti ragioni di temperatura e cambi di umidità. Quindi, da un campione ci aspetteremmo meno critiche e più “adattamento darwiniano”.
Aggiungiamo infine l’ultimo elemento, sempre parlando di aspetto mentale: non vorremmo che il momento di cattiva forma sia attribuibile alle due finali Slam perse, che potrebbero averlo demotivato seriamente. Sul piano della psiche potrebbe non sentirsi più all’altezza quando si tratta di chiudere le partite che contano.
Tuttavia basta tornare a guardare la data di iscrizione nei registri anagrafici per immaginare come tutto questo possa essere risolto: con i suoi 24 anni ha di fronte a sé chilometri di strada per correggere il tiro, ma dipenderà soprattutto da lui e dalle sue future scelte.
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