Pete Sampras è sempre stato considerato da molti una macchina perfetta per il tennis. Dedizione completa, spirito di sacrificio e quella mancanza di emozioni che facevano pensare a qualcosa di non umano. All’Australian Open ’95, però, quella macchina dimostrò di essere una persona come tutte le altre.
Sampras inizia la propria avventura all’Australian Open ’95 da numero 1 del mondo e arriva abbastanza agilmente ai quarti di finale dove l’aspetta il connazionale Jim Courier. Sembra una partita come le altre per Pete, sotto di due set a zero per aver perso i primi due tiebreak dell’incontro.
A supportarlo nel suo angolo non c’è come sempre il suo ex coach Tim Gullikson. Il motivo? Tim è dovuto andare via da Melbourne dopo l’ultimo malore accusato (tre nei tre mesi precedenti). La diagnosi non lascia scampo: tumore al cervello.
Sampras, come suo solito, sembra impassibile in campo, nonostante dentro di lui ci sia un turbinio di emozioni. Recupera i due set di svantaggio e al quinto sembra possa prendere finalmente il sopravvento. L’incantesimo, però, si spezza quando una persona dal pubblico gli urla: “Fallo per il tuo coach, Pete”.
Dopo queste parole, Pete si accascia a terra in lacrime. È incontenibile, tutte le emozioni che ha dentro vengono fuori. Anche Courier si accorge del momento complicato dell’avversario e, addirittura, gli propone di rimandare la partita al giorno successivo. Sampras ringrazia, declina l’invito e torna ad essere la macchina perfetta vincendo il quinto e decisivo set. Queste le sue parole nell’intervista finale rilasciata sulla Rod Laver Arena.
“Quello che forse mi dà più fastidio è che solo adesso in molti si accorgono che sono anche io un umano. Solo essermi messo a piangere in campo ha dimostrato che anche io ho un cuore e tengo molto alle persone a me care. Sono un essere umano e lo sono sempre stato”.
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