“Coppa Davis, così non va. Occhio agli italiani all’Australian Open”. Intervista a Omar Camporese

La stagione 2023 è iniziata soltanto da una settimana, ma già ci ha regalato numerosi spunti di riflessione. Partendo dal messaggio lanciato da Novak Djokovic, che ha inaugurato l’anno come aveva concluso quello precedente: con un trionfo, arrivato all’Atp 250 di Adelaide sbaragliando una concorrenza di altissimo livello. Reduce da un 2022 tra gioie (in campo) e dolori (fuori dal campo), il 35enne serbo sembrerebbe pronto a riprendersi il trono del tennis mondiale.

Nello stesso torneo, Jannik Sinner ha dovuto cedere il passo a Sebastian Korda (futuro finalista) anche a causa dell’ennesimo guaio fisico – stavolta problema all’anca – che getta grandi ombre sulle sue condizioni in ottica Australian Open.

Contemporaneamente, sempre in Australia, è andata in scena la United Cup, manifestazione a squadra nazionali miste che ha visto l’Italia spingersi sino alla finale per poi arrendersi all’implacabile selezione statunitense trascinata da Taylor Fritz e Jessica Pegula. Le prestazioni offerte da Matteo Berrettini e Lorenzo Musetti sono state incoraggianti. Ma il toscano, proprio come Sinner, si è ritrovato a fare i conti con un infortunio.

Di tutti questi argomenti e di tanto altro ancora abbiamo parlato in esclusiva con uno dei rappresentanti più illustri del tennis azzurro, l’ex top-20 Omar Camporese. Di seguito l’intervista.

A tu per tu con Omar Camporese

omar camporese
Foto Twitter FITP

La stagione 2023 si è aperta con la United Cup, competizione che ha riscosso parecchi consensi tra gli appassionati di tennis. Lei che ne pensa?

“Non l’ho seguita attentamente, ma ho visto che l’Italia è stata sconfitta in finale dagli Stati Uniti. Anche ai nostri tempi c’era questa manifestazione, si chiamava Hopman Cup. Tutte le nazioni si sfidavano in un torneo di preparazione all’Australian Open. Sono sempre contento quando ci sono degli incontri a squadre, ma…”.

Ma…

“Il problema è che dovrebbe esserci la Coppa Davis a legare il tutto. Ma purtroppo hanno cambiato il format e non è più la Coppa Davis del passato. Ha perso quell’amore, quell’entusiasmo… non c’è più quella passione che ti travolge. Ora è come se fosse un torneo di tennis normale che si gioca in una settimana. Prima era qualcosa di completamente diverso, qualcosa che rendeva il Paese partecipe e lo incollava davanti alla tv a tifare Italia. Io ho avuto la fortuna di commentare la Coppa Davis per la Rai, ma devo dire che non c’è più quella passione che ti trasmetteva una volta”.

Durante la fase a giorni, spesso e volentieri, gli spalti erano vuoti…

“Si gioca in orari abbastanza difficili. Durante la settimana la gente lavora. E quindi è difficile seguire. Noi, come Italia, siamo stati anche un po’ fortunati: giocando in casa, a Bologna, abbiamo avuto l’orario a nostro favore. Ma il martedì, ad esempio, ho commentato la partita tra Svezia e Argentina ed è stata una roba pietosa, tra virgolette, perché non c’era nessuno che la guardava. Insomma, stiamo parlando di Coppa Davis…”.

Cambiando argomento: dove possono arrivare Berrettini, Sinner e Musetti all’Australian Open?

“Innanzitutto bisogna vedere come stanno. Musetti non è 100%. Berrettini e Sinner sono reduci da un finale di 2022 travagliato. Sono ragazzi che purtroppo vanno spesso incontro ad infortuni. Matteo alle Finals 2021 si è dovuto ritirare, mentre l’anno scorso è stato costretto a dare forfait diverse volte, così come Jannik. Bisogna vedere come stanno. Perché se stanno in piena forma fisica hanno tutte le caratteristiche per arrivare fino in fondo. Voglio dire, Berrettini l’anno scorso si è spinto in semifinale, Sinner ai quarti. Tra coloro che possono andare lontano ci metterei anche Musetti, il quale ha fatto un salto di qualità notevole”.

Ivanisevic afferma che Djokovic si sta preparando per diventare «ancora migliore». Tornerà presto in vetta?

“È possibile (ride, ndr). Basti pensare che a 35 anni è ancora in grado di fare la voce grossa. Se la scorsa stagione non fosse stato fermato in Australia avrebbe probabilmente vinto anche quel torneo. Lui e Nadal sono ancora fuori portata per le nuove leve. Calcola che, prima di Wimbledon, Nole è rimasto numero uno al mondo disputando pochissimi tornei. È una cosa inimmaginabile che uno gioca tre tornei e resta numero uno al mondo. Se gli fossero stati assegnati i punti di Wimbledon sarebbe di nuovo in testa. Ciò è l’emblema di quanto forti sono loro e di quanto non c’è dietro di loro. Anche se devo dire che Alcaraz ha fatto tantissimo…”.

“Alcaraz già un mostro sacro. Nardi è veramente forte!”

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Foto Instagram Alcaraz

Come giudica l’annata di Alcaraz?

“Forse ha pigiato troppo sull’acceleratore, tanto da arrivare a fino anno messo abbastanza male. Dopo aver vinto tutto a inizio stagione è un po’ calato – credo sia fisiologico – per poi ritrovarsi negli Stati Uniti, dove ha giocato benissimo e vinto gli US Open diventando il numero uno del mondo. Poi un nuovo calo. A 19 anni, secondo me, si può già definire un mostro sacro. L’unica cosa che lo penalizza è il fatto che ogni partita ha un dispendio fisico-energetico allucinante. Sinner, ad esempio, è molto più sciolto ed elastico. Però, purtroppo, Jannik è un po’ leggero fisicamente”.

A proposito di giovani leve. Tra i tanti azzurri in rampa di lancio, chi le piace di più?

“A me piace tantissimo Nardi. Tocca la palla in modo diverso dagli altri e ciò fa la differenza. Gioca con la palla sempre a salire, e non fa per nulla fatica. È veramente forte! Può adattarsi a tutte le superfici. Stiamo parlando di un ragazzino di 19 anni che ha un gran futuro davanti”.

Nella sua esperienza di commentatore televisivo, c’è stata finora una partita che l’ha entusiasmata particolarmente?

“Per ora ho commentato solo la Davis e le Finals 2021. Parto da un presupposto molto semplice: il tennis di oggi non è che mi entusiasmi tanto, sono sincero. È un tennis in cui la tecnica viene un po’ a mancare, in cui si guarda molto all’aspetto fisico, in cui è difficile dire «mammamia, come tocca bene la palla!». Alle Finals vidi Medvedev e Zverev al di sopra di tutti gli altri, vinse il tedesco perché quella settimana servì come un treno. Però, ecco, vedere giocare Tsitsipas infortunato, Rublev che tira tutto a 200 all’ora senza un minimo di ragionamento… è un tennis monocorde e monotematico completamente diverso da quello a cui ero abituato io. Per questo non è che mi entusiasmi tanto. Mi entusiasma guardare Djokovic, perché a differenza di tutti gli altri sa giocare a tennis. Sa quello che deve fare in ogni momento della partita, sa come manovrare da fondo campo, ogni tanto cambia il modo di tagliare la palla. Il resto sta sempre a spingere, spingere, spingere senza pensare. Non è un caso che Nole continui a vincere”.

“Milano la gioia più grande. E quel game contro Becker…”

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Foto Facebook Camporese

Chiudiamo con un momento amarcord. C’è una partita della sua carriera che rigiocherebbe?

“Non una partita. Un game, quello del 5-4 per me al quinto set contro Becker all’Australian Open 1991. Serviva lui ed ero in vantaggio 15-30. Alla fine persi 14-12. Un bellissimo match, combattuto, in cui avremmo potuto vincere entrambi. La rigiocherei da quel game lì, con il falco. Se ci fosse stato il falco sul 15-30 lo avrei chiamato non una bensì tre volte. Dico questo perché ci fu una piccola contestazione, al termine della quale l’arbitro decise di assegnargli un punto molto dubbio”.

Qual è stata, invece, la sua soddisfazione più bella?

“La vittoria del torneo di Milano, in casa. È stata probabilmente la gioia più grande della mia carriera. A quel tempo, Milano era ancora un dei tornei più importanti in Italia e in Europa, dopo Parigi-Bercy e Stoccolma. Ci hanno vinto McEnroe, Lendl, Edberg, Becker. Per me fu una bella soddisfazione”.

A cura di Giuseppe Canetti.

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