Ventisei anni, una bacheca adornata da soli due titoli ITF, lo status di numero 180 del ranking ATP strappato con le unghie e con i denti, soprattutto grazie a qualche finale Challenger centrata tra fine 2021 ed inizio 2022.
Ryan Peniston è arrivato al Queen’s di Londra da rookie del circuito maggiore (non aveva mai giocato un match ATP), usufruendo di una Wild Card: un perfetto sconosciuto, per molti. Con grande sorpresa di tutti, però, ha battuto all’esordio Casper Ruud, quinta forza del mondo nonché finalista al Roland Garros, con un doppio 7-6.
Peniston è nato il 10 novembre 1995 a Southend-On-Sea, nell’Essex, contea dell’Inghilterra orientale. Il suo percorso è stato fin da subito in salita, ma non stiamo parlando di tennis: da bambino Ryan è sopravvissuto al rabdomiosarcoma, un tumore dei tessuti molli. In questa battaglia ha dovuto affrontare un intervento chirurgico e un lungo ciclo di chemioterapie, che hanno rallentato di parecchio la sua crescita.
A 13 anni si è trasferito a Nizza, in Francia, per allenarsi alla ISP Academy nonostante un fisico meno prestante rispetto a quello dei suoi pari età. Successivamente si è laureato al programma di tennis dell’Università di Memphis, facendo parte del GB University Team che ha vinto la prima medaglia d’oro a squadre della nazione ai Campionati Master’U.
Completato il processo di sviluppo, Peniston ha raggiunto l’altezza di 1,83 m e un peso forma che si aggira attorno ai 75 Kg. Ha esordito tra i professionisti nel 2013, ma ha iniziato a giocare con continuità soltanto nel 2018, anno in cui è riuscito ad agguantare la piazza 676 della classifica mondiale. Tra il 2019 e il 2020 la sua scalata è continuata, ma la svolta è arrivata la scorsa stagione. Nel 2021, infatti, ha vinto i suoi due primi (e unici) titoli in carriera. Il fatto curioso (ma non troppo, per chi conosce le “strane” dinamiche del tennis) è che li abbia conquistati consecutivamente, ed entrambi sul cemento di Heraklion, in Grecia.
Di lì Peniston ha preso grande fiducia e col suo mancino ha cominciato ad ottenere buoni risultati anche a livello Challenger, come ad esempio le finali sulla terra battuta di Praga ed Antalya (perse rispettivamente contro il nostro Franco Agamenone e Nuno Borges). Anche nel 2022 il britannico si è spinto una volta fino all’ultimo atto di un torneo cadetto, precisamente a Ostrava, perdendo da Evan Furness, sempre sui mattoni tritati. Poi, qualche altra discreta sgambata e l’esordio ATP al Queen’s di Londra (con tanto di successo su un top-5) a sugellare un percorso che sa di sudore e sacrifici. Il resto è una storia ancora tutta da scrivere…
Se il 2021 si è rivelato l’anno della svolta, il 2022 potrebbe essere quello della sua consacrazione?
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