Ventisei anni di tennis, talento e libertà: a colloquio con Pancho Di Matteo, organizzatore del Roma Garden Open

Nel nostro amato sport ci sono alcuni Challenger che hanno una grande storia alle loro spalle, tornei più apprezzati dai giocatori e con un fascino maggiore rispetto ad altri. Il Roma Garden Open è uno di questi, un vero e proprio banco di prova per i futuri campioni del tennis, che si gioca a ridosso degli Internazionali d’Italia e che ogni anno ospita talenti di rilievo. Pensate che tra i primi giocatori al mondo, in 25 (almeno) hanno calpestato la terra rossa del Garden Open.

Il prestigio di questo torneo è da attribuire senza dubbio al suo storico organizzatore, l’ex giocatore della Davis Ezio “Pancho” Di Matteo, con il quale abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata. “Qui qualche anno fa ho dato una wild card a Tsitsipas e a Rublev”, ci spiega, facendoci subito rendere conto quale sia il livello del Garden. E aggiunge: “Proprio l’altro giorno stavo verificando come i primi 20 al mondo della classifica Atp siano tutti passati qui da noi. E se allarghiamo lo sguardo alla top 100, ce ne sono anche molti altri”.

Incontriamo Pancho casualmente, al bar del circolo Garden, mentre prende un caffè al bancone insieme ad alcune persone. Mi dice subito di essere disponibile a una chiacchierata quando gli chiedo un’intervista, perché lui è così, genuino e molto socievole, una persona alla mano. Vedendolo, in effetti, ne abbiamo conferma nel modo in cui si interfaccia con tutti quelli che lo fermano e lo salutano, mentre aspettiamo di spostarci in un luogo più silenzioso per iniziare l’intervista.

Pancho rappresenta anche un pezzo di storia del tennis italiano, è partito tanti anni fa come semplice raccattapalle ed è arrivato a giocare con Ion Tiriac e con Ile Nastase. Nella sua carriera la Coppa Davis, le sfide con Mulligan, Connors, Orantes. Ha giocato una finale di campionato italiano con Nicola Pietrangeli. Ed è arrivato a giocare nei luoghi sacri del tennis come Wimbledon e Roland Garros, sfidando Laver, Ashe e Panatta. Uscito dal circuito ha deciso di investire tutta la sua vita su questo sport.

Da 26 anni organizza il Garden Open e così iniziamo l’intervista con un bilancio dell’edizione 2022 appena conclusa: “La risposta del pubblico è stata molto positiva, non ho mai visto tanta gente come quest’anno. Sicuramente i tanti campioni italiani aumentano la voglia di partecipare e il fatto di avere in Italia 10 giocatori tra i primi cento al mondo è una grandissima promozione per questo sport. La gente è sempre più affamata di vedere partite dal vivo, soprattutto dopo la lunga pandemia che abbiamo vissuto. E lo dimostra il fatto che in questi 6-7 giorni siano venute almeno 8-9mila persone, davvero tante per un circolo di tennis”.

Quando gli chiediamo se sia difficile, oggi, organizzare un Challenger come quello capitolino risponde: “È molto complicato e ogni anno che passa lo è sempre di più. I Challenger riesci a farli se hai degli sponsor che ti danno una mano. Noi partiamo da novembre per mettere in piedi il torneo e ce la mettiamo tutta. Però senza sponsor diventa complicato, devo essere sincero”.

Pancho peraltro non prende alcun compenso per organizzare il torneo. Certo, lui è uno dei proprietari del circolo, ma una rinuncia del genere non è affatto scontata. Quanto alla qualità tennistica dei partecipanti la giudica “altissima”. “Questi giocatori – sottolinea – possono arrivare a battere un 40-50 del mondo senza sorprendere nessuno. Adesso giocano tutti bene. Tralasciando i Top 10, un numero 80 gioca alla stessa velocità di un numero 30. La differenza sta nel fatto che il numero ottanta sbaglia dopo 20 scambi, il numero 30 invece dopo 25. Tutto lì. Servono tutti benissimo e quello che cambia è soprattutto la mentalità”.

Che differenza vedi rispetto a quando giocavi nel circuito? “È cambiato l’attrezzo, ora si gioca più veloce, anche se Panatta e Turner già servivano a 200 chilometri orari. Ma è anche difficile fare paragoni con 30-40 anni fa. Cambia lo sport, cambiano gli atleti. Adesso il più basso è alto 1,80, aspetto che fa la differenza sul servizio. Poi hanno tutti i preparatori atletici, sono attenti sull’alimentazione. I tempi della preparazione atletica magari sono uguali a quelli di allora, sempre quattro/cinque ore al giorno. In ogni caso alla fine vince chi ha qualcosa in più, come in ogni sport e in ogni epoca”.

Parlando di qualità di gioco e andando indietro nelle edizioni, Pancho ricorda anche quando un certo Juan Carlos Ferrero giocò nelle qualificazioni, quando ancora il torneo era un semplice 10mila. “Arrivò in finale ed era ancora sconosciuto. Ricordo bene quando dissi al rappresentante della Wilson ‘prendetevi questo ragazzo che gioca bene’. Aveva solo 17 anni e non aveva ancora un contratto”. E quando gli chiediamo un aneddoto, ci racconta un ricordo personale negli anni passati al Garden, commuovendosi quasi: “Ho un bellissimo ricordo di un ragazzo che purtroppo non c’è più, Federico Luzzi. Veniva a giocare quando aveva 20 anni circa e ogni volta che giocava male e perdeva un punto gridava ‘Pancho Panchoo, questi campi’. Poi un’edizione del torneo la vinse, eravamo tutti strafelici e quella sua immensa gioia è uno dei ricordi più belli che ho di Federico e di questo torneo”.

Una caratteristica del Garden Open è quella di respirare un’aria di libertà, ci si avvicina a tanti talenti e si vede insomma il grande tennis da molto vicino, il tutto gratuitamente. Per questo gli chiediamo se ha mai pensato di mettere un biglietto di ingresso. “Finora non abbiamo mai pensato di far pagare l’entrata – ci spiega – perché di fatto ci teniamo a far conoscere il tennis il più possibile, a dare la possibilità agli spettatori di vedere gratuitamente i giocatori da 5 metri di distanza. La consideriamo anche una forma di promozione. Purtroppo però i tempi sono cambiati e le spese sono molte. Noi ce la mettiamo tutta per migliorare, ma penso che qualcuno dovrebbe darci una mano”.

A questo proposito che supporto ricevi dalle istituzioni locali? Perché alla fine offrite un servizio ai cittadini lasciandoli entrare gratis in questo tipo di torneo.
“Nessuno a livello locale ci ha dato mai una grande mano. E sinceramente penso che un piccolo aiuto alla fine ce lo meriteremmo, perché questo torneo è uno dei più importanti in Italia e ha un rilievo anche nel circuito europeo”.

Cosa ti sentiresti di consigliare ai giovanissimi, visto che purtroppo di Challenger non si vive e non sempre i più giovani possono permettersi trasferte all’estero.
“All’inizio è dura se non si hanno le disponibilità economiche, a meno che non si venga aiutati dalla federazione con delle Wild card. Perché altrimenti non puoi giocare nemmeno le qualificazioni. Se non rientri nei venti-trenta ragazzi che la Federazione tiene sotto controllo, in effetti, diventa molto dura”.

C’è stata recentemente una polemica sulla redistribuzione dei montepremi, concentrati soprattutto sulla parte alta della classifica. Che ne pensi. “Credo si dovrebbe dare qualche punto Atp in più per far arrivare in alto i giocatori e poi anche un aiuto a chi organizza i Challenger, magari portare a 125mila un torneo inizialmente da 100mila. Ma la cosa più importante sarebbero comunque i punti”.

Chiudiamo tornando qui al Garden. Te l’aspettavi un italiano vincitore?
Ci speravo molto che un italiano vincesse. Anche lo scorso anno è avvenuto in realtà con Pellegrino, ma la cosa bella di quest’anno è che addirittura sono arrivati due azzurri in finale, non era mai accaduto. Certo, devo ammettere che sono dispiaciuto per Flavio Cobolli, che ormai è una realtà. L’anno scorso gli ho dato una wild card ed era numero 750, in un anno è diventato 140 del mondo. E questo la dice lunga.

Un altro giovane che ti sentiresti di consigliare ai nostri lettori?
“Luca Nardi è una grande promessa, gioca davvero bene. L’avevo già visto qualche anno fa quando era ancora più piccolino, ha una buonissima attitudine per giocare bene a tennis e i risultati cominciano a dimostrarlo”.

Lo stiamo seguendo anche noi, con molta attenzione. Continueremo a farlo.

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