“Caro Merlo, Djokovic se ne è dovuto andare dall’Australia, sostituito in cartellone dall’italiano Caruso: era duro sperare che cantasse – ops giocasse – altrettanto bene!“. Il virgolettato porta la firma della signora Attilia Giuliani, che rivolge la sua domanda al giornalista Francesco Merlo nella rubrica “Posta e Risposta”, la rubrica delle lettere di Repubblica.
Se la domanda in sé è già abbastanza deprimente, mai ci saremmo aspettati che la risposta potesse esserlo anche (molto) di più. Merlo è una firma attenta, profonda e intelligente e benché non ci risulti che abbia alle spalle una grande esperienza in termini di commenti tennistici, ci ha abituati a trovare spesso le parole giuste per raccontare la realtà, spesso anche con la giusta dose di ironia. Ebbene, questa volta sembra davvero essere incappato in una brutta caduta di stile.
Leggete queste incredibili parole: “Caruso sapeva che sarebbe stato malamente eliminato. Eppure, con consapevole amarezza più che ironia, ‘sono il lucky loser (il fortunato perdente) più famoso della storia’ si era limitato a dire questo simpatico tennista della bella Avola, che comunque può ancora vantare la mandorla più buona del mondo. Fossi stato lui, avrei rifiutato di giocare: non ci vuole infatti il senno di poi per capire che avrebbe dovuto sottrarsi al ruolo del tappabuchi. E il tennis italiano avrebbe dovuto proteggerlo impedendo a Caruso di comportarsi da “caruso”. In siciliano “caruso” significa infatti “ragazzo” e i “carusi” occupavano l’ultimo, umiliante gradino della gerarchia sociale delle miniere di zolfo. E però il cognome ha anche le sue eccellenze: Enrico nel canto, Bruno nella pittura, Pino nel teatro… a conferma che non è facile essere Caruso sia nel male sia nel bene“.
Merlo prosegue la riflessione su Djokovic e poi chiude ancora, offensivo, sul tennista siciliano: “…nel salvataggio di Sasà Caruso, nel suo recupero, non c’è nulla di valoroso. È stato un rovescio che non ha umiliato l’escluso, ha umiliato l’incluso. Brutta storia“.
Eh già, brutta storia. Bruttissima storia quella di un giornalista che non si informa. Eppure sarebbe bastato poco. Sarebbe bastato andare su Google e digitare “cos’è un lucky loser nel tennis?”. Merlo avrebbe scoperto che non è un tappabuchi, non sta rubando il posto a nessuno ed ha tutto il diritto (e in un certo senso anche il dovere) di essere lì.
Poi avrebbe potuto digitare “come funziona il regolamento per il ripescaggio dei lucky loser?”. E avrebbe scoperto che per arrivare dove è arrivato Caruso ha dovuto vincere due turni di qualificazione per gli Australian Open (un pre-torneo Slam a cui la maggior parte dei tennisti non si sogna neanche di poter accedere) ed avere un ranking di tutto rispetto. Cosa che ha comportato anni di lavoro, sacrifici e impegno.
Infine, sempre se avesse digitato su Google “chi è Salvatore Caruso?” avrebbe notato che, benché non stia certamente vivendo il suo periodo migliore dal punto di vista tennistico, il nativo di Avola è stato numero 76 del mondo (best ranking raggiunto a fine 2020, anno in cui ha battuto gente del calibro di Jannik Sinner e Felix Auger-Aliassime, rispettivamente numero dieci e numero nove del mondo in questo momento), è arrivato due volte al terzo turno in tornei del Grande Slam, ha raggiunto le fasi finali di vari tornei dei circuito maggiore e nell’unico precedente contro Miomir Kecmanovic (il tennista serbo contro cui “sapeva che sarebbe stato malamente eliminato”) i due se la sono giocata in un match equilibratissimo terminato all’ultimo punto esattamente un anno fa.
“Fossi stato lui, avrei rifiutato di giocare”, scrive incredibilmente Merlo. Una frase del genere denota una scarsissima conoscenza non solo del tennis, ma in generale dello sport. Che senso ha? E se la Danimarca -ripescata dopo l’esclusione della Jugoslavia – si fosse rifiutata di giocare gli Europei di calcio del 1992 (che poi ha vinto)? Se Roberta Vinci si fosse rifiutata di scendere in campo in semifinale a New York nel 2015 contro Serena Williams perché partiva già battuta? Se la nazionale di hockey americana non fosse scesa sul ghiaccio alla Olimpiadi del 1980 di Lake Placid in cui riscrisse la storia (“do you believe in miracles?”) contro l’Unione Sovietica?
Infine, tralasciando le offese personali, l’argomentazione ancora più assurda: “E il tennis italiano avrebbe dovuto proteggerlo impedendo a Caruso di comportarsi da ‘caruso'”. Ma in che senso, caro Merlo? Ma cosa c’entra il tennis italiano? Salvatore Caruso rappresenta se stesso, non la sua nazionale, quando partecipa ad uno Slam. Non ci sono dirigenti, allenatori, capitani che gli dicono di scendere in campo o meno. Anche perché, e lo diciamo a scanso di inutili ipocrisie, il tennista è uno dei “liberi professionisti” dello sport e partecipare (o meno) al primo turno di un torneo del genere fa molta differenza. Non è che fosse lì per la gloria, o almeno non solo.
Insomma, si può dire che la risposta di Francesco Merlo alla signora Attilia Giuliani sia stato uno dei commenti più sconclusionati, sghangherati e supponenti letti negli ultimi tempi sul tennis (e la concorrenza è alta). Chi l’ha scritto, ma anche chi dirige la testata, chi per questa testata si occupa (bene) di sport, dovrebbero sentire il dovere morale di scusarsi con il diretto interessato e con chi ama il tennis per il pessimo servizio offerto.
Con immutata stima.
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