Roma, 15 dicembre 1981. Paolo Lorenzi vede la prima luce. È ancora inconsapevole dell’avventura che lo sta aspettando.
Trasferimenti, Siena, campi, racchette, palline e allenamenti. Futures, vittorie, sconfitte e ancora allenamenti. L’inferno, i Challenger, tanti Challenger e tanto sudore. Purgatorio tanto Purgatorio. Vittorie. Poi, il bagliore del Paradiso. Una luce che si accende e si spegne, quasi ad intermittenza. E ancora trasferimenti, Purgatorio, allenamenti, Sarasota, vittorie, sconfitte e, perché no, bestemmie per via di quel talento cristallino che la natura non gli ha dato.
Risultati macinati con sforzi sovraumani. Le fiamme muovono l’animo di Lorenzi, che rende la volontà sovrana. Potrebbe essere raccontata in questo modo la rincorsa del soldatino all’amore della sua vita, chiamato tennis. Paolino è un esempio di calma e freddezza, caratteristiche che gli hanno sempre permesso di azzerare subito l’errore e di ripartire a testa bassa, senza mai piangersi addosso.
Anno dopo anno ha continuato a scontare la pena per il suo peccato originale: non avere la stoffa del grande campione. Lacuna che ha saputo colmare a furia di frustate e tanta corsa, costruendosi il suo bel castello che tante, troppe, volte è stato distrutto con una sola carezza da avversari più dotati. Pazienza e perseveranza, le doti infinite che la vita gli ha dato. “Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto” si sarà detto da Virgilio di sé stesso.
Il suo percorso inizia nel 1999, come per tutti i giovani di belle speranze, nel circuito ITF, che nei primi tre anni di carriera sarà la sua dimensione. Nel 2002 finalmente l’esordio in un Challenger, quello di Recanati. Seguirà un ottimo rendimento nei Futures e qualche altra sporadica apparizione nei Challenger, palcoscenico su cui man mano riuscirà ad emergere.
Ma la gavetta sarà ancora lunga. Infatti, solo nel 2006 arriverà la prima vittoria di un torneo in tale categoria: a Tarragona contro il marocchino El Aynaoui. Di lì, altri due anni di buone prestazioni ma, purtroppo, anche di insuccessi. Poi, dal 2008 al 2018 una serie di 20 tornei Challenger portati a casa. In mezzo, un Future ad Abidjan in Costa d’Avorio nel 2009, nel bel mezzo di una sanguinosa guerra civile, e, nel 2016, la grande gioia: il suo unico titolo ATP (conquistato sulla terra rossa di Kitzbühel contro Nikoloz Basilashvili) che gli varrà il miglior ranking della carriera (n.33).
Nelle sue stagioni d’oro, non andrà lontano negli slam (miglior risultato: quarto turno agli US Open 2017), ma rimarrà stabilmente tra i primi 70 giocatori del mondo. Risultati che hanno del clamoroso perché di certo nessuno li avrebbe previsti agli inizi del suo cammino. Gioie che gli sono valse il riconoscimento di Re del mondo di mezzo.
“Quando una mattina mi sveglierò e mi accorgerò di non averne voglia, quello sarà il momento. Ma fino a che avrò queste buone sensazioni vado avanti. Ciò non toglie che ogni anno potrebbe essere l’ultimo”.
Quel momento è arrivato. Oggi, si ritira Paolo Lorenzi, il tennista innamorato, che alla soglia dei quarant’anni ha finalmente trovato il suo posto in Paradiso.
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