La testa. È la testa che fa la differenza. Il grande Corrado Barazzutti, che troppo spesso si innervosiva – noi ricordiamo un urlo in romanesco (“E chi sei, Mandrake?”) in un lontanissimissimo incontro di Davis perché l’avversario aveva osato tentare di prendere un dritto dei suoi -, Barazzutti dicevamo, ci ha ricordato una verità che forse si trascura troppo: nel tennis la testa, la capacità cioè di stare dentro “quel” match, è l’arma decisiva.
Non si tratta di semplice concentrazione. È come un fluido che ti consente o non ti consente di avere tutta la partita nel cervello. Ci sono stati grandissimi campioni, tecnicamente fortissimi, che andavano via di testa: è capitato a quasi tutti. Persino un uomo di ghiaccio come Bjorn Borg, che non abbiamo mai amato, aveva delle pause che poi riusciva a compensare con la sua forza tecnica. Capitavano dei vuoti agli “estrosi” – al divino McEnroe, a Nastase, allo stesso Panatta, ma non a Jimmy Connors che fino a 40 anni ha lottato su tutte le palle.
Dei nostri splendidi giovani, Jannick Sinner ci pare quello con più capacità di stare nel match (c’è chi vi vede una somiglianza con Ivan Lendl) e dunque è quello che potrebbe avere più chances per ascendere nell’Olimpo dei grandissimi. A Parigi il carissimo Lorenzo Musetti non poteva reggere a cospetto del cervello pazzesco di Djokovic, e ha un po’ discutibilmente abbandonato il campo.
Vedrete che nella fase finale del Roland Garros la testa sarà decisiva. Soprattutto nella semifinale (per noi la vera finale) tra i due grandi, ancora una volta Rafa contro Nole. Due “teste” fuori dal comune, due macchine mentali oltre che artisti della racchetta in grado, condivido i grandi scacchisti, di prevedere le mosse dell’avversario quasi all’infinito.