Da questo momento, si potrebbe immaginare il pensiero rimbalzante nelle menti dei prossimi avversari del russo Daniil Medvedev, in arte “Legno Storto”. Un appellativo di mio conio nato agli US Open 2019, quando il moscovita fronteggiava fino all’ultimo respiro il maiorchino Rafael Nadal, nell’atto conclusivo del torneo.
Prendiamo la partita con cui ha sconfitto il compatriora Andrey Rublev, regolandolo in soli tre set. Da consumato analista smontava un pezzo alla volta il robotico avversario mandando in cortocircuito la scheda madre. In verità, il povero Andrey giocava una buona partita, provando ogni soluzione a lui nota per uscire dal ginepraio. Tra un punto e l’altro, ogni qual volta pareva trovare finalmente una via d’uscita lo sforzo non faceva altro che riportarlo da un labirinto all’altro.
L’incontro evidenziava scambi mozzafiato in cui Medvedev, oltre a padroneggiare diagonali e lungo linea come si conviene ad ogni campione del suo rango, mostrava una capacità sorprendente rivelandosi il “Signore” del centro campo.
Mi spiego! Quando un giocatore è in grado di far confluire il traffico del suo tennis nel bel mezzo del terreno di gioco senza subire l’offensiva altrui e, ancor più, dettando addirittura i ritmi della contesa, significa essere in possesso del controllo sugli eventi che nel tennis sono del tutto imprevedibili. Proprio nella partita con Rublev, sul cinque pari e trenta pari del primo set, un attimo colmo di affanni e incertezze, Daniil realizzava la giocata impossibile: un diritto vincente che rimbalzava sulla “T”: l’esatto punto in cui le righe orizzontali e verticali che delimitano le aree di battuta si incontrano. Se mi è permessa una correlazione con lo sport del calcio, il moscovita inventava in quel preciso istante il tiro a “cucchiaio” nel gioco del tennis.
E se il russo disponesse di doti divinatorie, vien da pensare? Difatti, durante il continuo mulinare di gambe e braccia il lungo Medvedev arriva su ogni rimbalzo, riuscendo a coprire ogni centimetro di campo, anche l’angolo che non c’è. Nel contempo la sua palla evolve, mutando sembianze di continuo: ora lunga e poi corta, alta e bassa, lenta e veloce, centrale e angolata. In altre parole, “Legno Storto” vince per stordimento grazie alla sua vertigine carica d’effetto, per dirla alla Galileo. Ebbene si! Galileo Galilei scriveva di tennis, al suo tempo chiamato “Pallacorda”.
Un gioco da sempre amato dall’universale e preso a prestito dal padre della scienza moderna come analogia per spiegare la fenomenologia del moto. Incredibilmente, anche altri formidabili studiosi dell’epoca seguivano l’esempio del genio pisano analizzando il gioco della Pallacorda, jueu de paume per i francesi, real Tennis per gli inglesi. Per intenderci, personalità del calibro di Cartesio e di Newton.
Mi fermo, prima che l’eccitazione prenda il sopravvento! Del resto questi temi saranno frutto di particolari interventi prossimamente illustrati nelle sedi adeguate….
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