I timori erano tanti. E per chi, in Europa e in America, diceva di non comprenderli bene, ora dovrebbero essere più chiari. Lo sforzo fatto da Tennis Australia e Craig Tiley per consentire che i tornei australiani si potessero giocare è stato immane (e molto apprezzato da tutti i tennisti), ma già dalle prime ore stanno emergendo tutte le difficoltà legate ad una gestione del Covid (quella del governo australiano) enormemente più restrittiva che altrove.
Ovviamente non è l’obiettivo di questo articolo giudicare le scelte di un governo. Non siamo né politici né tantomeno esperti epidemiologici, ma forse – e lo diciamo sottovoce, sperando di essere smentiti nei prossimi giorni – queste regole non erano compatibili con un torneo internazionale di primissimo livello, in cui si sfidano atleti professionisti provenienti da ogni parte del globo. Non solo per rispetto verso di loro e verso il pubblico, ma anche per gli stessi cittadini australiani, migliaia dei quali sono bloccati all’estero da mesi, in attesa della possibilità di fare ritorno a casa e abbracciare i loro cari.
Ciò che si è visto nelle prime ore di quarantena dei tennisti in Australia è allucinante. A far saltare tutto per aria è stata la notizia della positività di Tennys Sangren, giocatore americano imbarcatosi a Los Angeles positivo al Covid ma ritenuto “non contagioso”. Peccato che sul suo stesso volo charter fossero state trovare altre due persone positive. Stessa per il volo proveniente da Abu Dhabi, e poi per un altro volo ancora. Risultato? Ci sono 75 tennisti e tenniste isolati nella propria stanza d’albergo, senza la possibilità di allenarsi. E tra due settimane dovranno giocare un torneo del Grande Slam.
Ha spiegato bene Sorana Cirstea: “Le persone dicono siamo dei privilegiati. Io non ho alcun problema a stare 14 giorni in una stanza a guardare Netflix. Credetemi questo è un sogno che diventa realtà, una vacanza. Quello che non possiamo fare è competere dopo essere stati 14 giorni su un divano. Questo è il problema, non la regola della quarantena”.
In effetti il discorso non fa una piega. E aver messo le persone “normali” nelle condizioni di doversi lamentare del fatto che ad atleti di questo livello venga concessa la possibilità di uscire dalla stanza per cinque ore al giorno – insieme ad un accompagnatore, sotto rigidissimi sistemi di controllo (almeno a Melbourne, ad Adelaide è un po’ diverso, ma questa è un’altra storia e ne sa qualcosa Naomi Osaka) – è purtroppo un po’ un paradosso. Se poi a questo aggiungiamo che a quanto pare il livello di alimentazione a cui sono sottoposti i tennisti non è di primissimo livello e che, addirittura, sono stati avvistati topi in camera, beh, c’è da mettersi letteralmente le mani nei capelli.
Insomma, tra tennisti arrabbiati e concentrati più ad aggiornare i propri account social che ad allenarsi, come in un grande reality show, ed organizzatori che non sanno già più dove andare a sbattere la testa, sembrano tutti già sull’orlo di una crisi di nervi. E lo “spettacolo” è appena cominciato. Incrociamo le dita.
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