Ci sono argomenti che non è possibile oscurare: la questione del razzismo non può, infatti, essere sovrastata né dalle prime partite degli US Open, né dallo scisma dell’impero tennistico proposto da Novak Djokovic. Ne sa qualcosa Naomi Osaka, giovane e vincente ma con una personalità ancor più grande del suo talento. La sua è una storia molto particolare, che necessita di un interessante approfondimento, non tanto per capire come mai si batta così fortemente contro il razzismo (questo dovrebbe essere scontato), bensì per comprendere come la sua figura sia diventata un vero e proprio simbolo per chi la discriminazione la subisce quotidianamente. Campionessa di tennis ed emblema della resistenza dei giorni nostri, Naomi ha la particolare fortuna (?) di essere figlia di due immense culture, totalmente differenti tra di loro.
La storia di Naomi Osaka e il mondo alla rovescia di Ruth Benedict
Figlia di Leonard François, originario di Haiti, e di Tamaki Osaka, proveniente da Hokkaido, nasce nella città di Osaka nel 1997, prendendo il cognome della madre in virtù della legge vigente in Giappone: il coniuge straniero deve prendere il cognome del consorte cittadino giapponese. Nonostante Naomi sia cresciuta negli Stati Uniti, dove vive da 20 anni, ha deciso di rappresentare il Giappone, terra natale di una famiglia di cultura nipponica. Il passaggio dall’Asia all’America sarà un fattore determinante nella costruzione di una delle personalità più forti degli ultimi tempi.
Il motivo? Lo si può comprendere facendo un viaggio indietro nel tempo, precisamente risalendo alla metà del secolo scorso e al “Crisantemo e la spada”, opera dell’antropologa Ruth Benedict. Lo scritto fu il risultato di una ricerca commissionata alla Benedict nel 1944 dal servizio informazioni militari americano che puntava a saperne di più di un avversario, il Giappone, che per gli occidentali ha sempre costituito l’espressione di un’alterità irriducibile. E fu così che l’antropologa si ritrovò a doversi orientare in quello che viene definito un ‘mondo alla rovescia’, e a dover spiegare in che modo le abitudini e i giudizi che costituiscono il patrimonio culturale di un popolo siano diventati per i giapponesi le lenti attraverso le quali vedono la realtà. La Benedict finirà per fare una duplice etnografia: una straordinaria analisi della cultura e dell’etica del ‘Paese del Sol Levante’, e una forte critica alla società americana. Il tutto ricorrendo a coppie opposizionali del tipo: Giappone vs Usa; gerarchia vs uguaglianza; autoritarismo vs democrazia; obbligo vs scelta; cultura del senso di vergogna vs cultura del senso di colpa.
Due mondi, due culture, due morali a dir poco incompatibili che messe a confronto fanno vacillare le certezze del mondo occidentale, quello che, innanzitutto, ha istituito la supremazia delle etnie bianche su quelle nere e dell’occidente sull’Oriente e sull’Africa, quello che, in fin dei conti, ha scritto la sua versione della storia dell’umanità, imponendola come ufficiale. Viaggiando nel racconto dell’antropologa, si giunge alla convinzione che, probabilmente, il vero mondo alla rovescia sia il nostro e che il Giappone, con il suo sistema etico, sia sempre meno stravagante e arbitrario, caratteristiche che sembrano sempre di più trasporsi sulla civiltà occidentale. È questo il clima di contraddizione cui ha dovuto far fronte Naomi Osaka, testimone dell’estrema diversità che esiste sulla terra.
Naomi si sveste delle due culture e abbraccia il margine
La Osaka come rappresentante insigne di una impeccabile integrazione culturale e ideologica sarebbe un perfetto slogan in stile occidentale, colonialista e politicamente corretto, in piena linea con la rappresentazione riguardante l’altro, fatta per secoli e secoli da chi ha scritto il racconto dell’umanità. Ma a volte, nella storia, ci sono persone disposte a rompere tali schemi, ed è proprio la tennista una di quelle determinate a perseguire questo scopo: facendo tesoro della sua doppia appartenenza ha saputo spingersi oltre il semplice godersi l’oro che gli sponsor e i risultati le garantiscono, andando a porre i presupposti per una rottura radicale.
Il sogno americano per lei va oltre il realizzare sé stessa in una società che non le appartiene. Il suo sogno, infatti, sembrerebbe un altro: cambiare l’America. Il suo impegno politico e sociale è ormai noto: “Black Lives Matter” è una delle grida delle sue battaglie, andando a sfidare le logiche che lo status di atleta di vertice le imporrebbero. Infatti, molte volte, come capita anche ad altri sportivi, le è stato consigliato di non esporsi troppo drasticamente riguardo specifiche questioni, causa suscettibilità degli sponsor, sempre attenti all’immagine e all’appetibilità sul mercato.
Già, l’immagine e le apparenze, cose che a Osaka sembrano non importare più di tanto. Sarà forse merito di quella cultura del senso di vergogna sopra citata? O sarà merito del codice etico ereditato dal suo Paese di origine? Probabile, ma non solo. La tennista giapponese dai caratteri orientali e la pelle scura, sembra aver deciso anche di svestirsi da etichette culturali che per molto, troppo tempo le hanno causato diverse sofferenze. La sensazione è che si sia giunti a uno step successivo: il riscatto dell’altro.
Naomi, che finalmente ce l’ha fatta, ha comunque scelto lo spazio di resistenza e di rifiuto dove si può dire no alla violenza simbolica (e non solo) che opprime e reprime, il cosiddetto margine. Tramite chi combatte all’interno di esso, il margine non è più un luogo di privazione, bensì l’esatto contrario: diventa un luogo di resilienza, dove è possibile immaginare alternative, dove si rende possibile decolonizzare le nostre menti e ambire a una libertà diversa, più autentica rispetto a quella che viene inculcata da una versione eurocentrica della storia. Il margine come squarcio nella società di oggi ci ricorda che la battaglia è ancora viva.
“From margin to center”
“Essere nel margine vuol dire appartenere, pur essendo esterni, al corpo principale. Dal margine osserviamo il mondo dall’esterno all’interno, osservando bene sia il margine che il centro” [bell hooks; “Elogio del margine”]
Farsi spazio all’interno della cultura dominante è l’obiettivo di questa battaglia. Ma in che modo? Offrendo una risposta critica al dominio, da una posizione laterale, senza tradire le proprie radici, anzi valorizzandole, prendendo consapevolezza che la subordinazione non è più uno status, ma un motivo di riscatto. E ciò ce lo sta ricordando Naomi Osaka che, giovane, vincente e potenzialmente integrata negli schemi del mondo moderno, un po’ dal centro ma soprattutto dalla Periferia, sta lottando per scardinare millenni di violenza, discriminazione e privazione.
Grazie alle persone come Naomi Osaka, il margine ferito resiste e guaisce, sussulta, guarisce e ringhia, affacciato al confine, in attesa che nuove pagine del progresso umano vengano scritte.
O forse sarebbe meglio girare il libro alla rovescia?!
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