La notizia più clamorosa di giornata arriva nel match clou del giorno, quello tra il russo Daniil Medvedev e Roberto Bautista Agut. Anche ieri, come in tutta la sua carriera, lo spagnolo si è ritrovato a rincorrere l’avversario, favoritissimo, prima di prendersi la semifinale del Master 1000 di Cincinnati.
I primi 5 anni nel circuito professionistico (dal 2009 al 2014) di Bautista non sono positivi, ci sono tanti altri tennisti spagnoli, capitanati da David Ferrer, che vanno molto più forte di lui.
Agli Australian Open 2014 c’è la svolta.
Da sconosciuto si ritrova ad affrontare al secondo turno il n. 5 del seeding, Juan Martín Del Potro, e lo riesce a sconfiggere in quella che è stata probabilmente una delle più belle partite della carriera. Da lì in poi una rapida crescita in classifica, quasi a colmare il vuoto che negli anni, mano a mano, stava lasciando Ferru. Il paragone tra i due non regge, ma sono alcuni i punti in comune.
David è riuscito a conquistare, nell’epoca di Rafa Nadal, ben 27 titoli Atp, quasi tutti sulla terra rossa. Roberto ne ha conquistati 9, un terzo del connazionale, ma su più superfici. L’anno che li lega è il 2019.
Ferrer decide, dopo una lunga carriera di sacrifici e successi, di appendere la racchetta al chiodo. Nello stesso anno, invece, Bautista conquista il suo miglior ranking in carriera, il n. 9, dopo la semifinale conquistata sull’erba di Wimbledon.
È come se i due si fossero ufficialmente scambiati il posto come più forte tennista spagnolo, alle spalle di Rafael Nadal (largamente fuori concorso). Questa è la parabola di chi, grazie alla corsa e ai sacrifici, riesce a portarsi a casa molto di più di quello che il talento gli ha offerto.
Le carriere di Ferrer e Bautista-Agut dovrebbero essere un esempio per tutti: a volte il talento non basta se non è accompagnato dallo spirito di sacrificio e dalla voglia di arrivare.
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