“It’s never too late”, è il messaggio lanciato da Stan Wawrinka in un emozionante video postato qualche giorno fa.
Non è mai troppo tardi, infatti, è ciò che chiunque penserebbe ripercorrendo la storia del tennista svizzero. Una storia fatta di eccellenza ma spesso all’ombra di mostri sacri che, però, The Man ha dimostrato di saper battere. Con il suo potente ed elegante rovescio ha ribaltato pronostici e acceso gli animi dei tifosi e degli appassionati, sempre più innamorati della sua capacità di colpire profondo e veloce stando molto dietro la linea di fondo campo. Ma è anche la storia dell’uomo ad affascinare.
Wawrinka ha avuto il merito di riscrivere la storia anagrafica di questo sport: a 29 anni ottiene il primo titolo Slam, strappando il successo a Rafa Nadal con un netto 3 a 1 agli Australian Open. Il 2014 si confermerà come la stagione che sancisce una rottura radicale nelle gerarchie del tennis che vedono imporsi Stanimal con tutta la sua ferocia: lo svizzero metterà in bacheca il suo primo Masters 1000, vincendo il torneo di Montecarlo, e la Coppa Davis con la rappresentativa elvetica.
Ma è solo l’inizio di un exploit che metterà in netta difficoltà il regno dei Fab Four. Infatti, nell’anno seguente conquisterà anche il Roland Garros battendo Djokovic in tre ore e dodici minuti di gioco. Scena che si ripeterà l’anno successivo agli US Open, quando regolerà nuovamente il serbo e si aggiudicherà il terzo Slam in carriera.
Il bilancio, ad oggi, parla di 16 titoli vinti e di una medaglia d’oro olimpica ottenuta in doppio al fianco di Roger Federer. Mentre sono 19 vittorie totali in singolare contro Djokovic, Federer, Nadal e Murray.
Al tennista di Losanna, però, non vanno attribuiti ‘soltanto’ gli straordinari meriti sportivi, ma anche grandi doti caratteriali, che sembrano avere una genealogia comune alla naturalezza con la quale si esprime in campo. Un temperamento forte e al tempo stesso spontaneo che muove un polso deciso e potente ma anche fine e naturale.
Un guerriero umile e silenzioso, emerso a poco a poco, per lunghi tratti frenato, anche da problemi alle ginocchia, operate entrambe chirurgicamente. L’umiltà, Wawrinka, ce l’ha iscritta nel suo dna, come la voglia di non mollare, quella di reagire e farsi spazio in un Circus troppe volte diventato circo, teatro di sceneggiate o di miti e leggende.
Un susseguirsi di colpi dati con assoluta nonchalance, di palline accarezzate ed accompagnate da un rovescio a una mano semplicemente divino. Quasi a scacciare via con uno schiaffo le critiche e le pressioni mediatiche che cercano di risucchiarlo nelle logiche del successo e dell’eccesso, che alla lunga logorano e distruggono. Tutti ma non lui, che dimostrerà di non aver bisogno delle luci della ribalta per uscire dall’enorme ombra del suo amico fraterno Roger Federer e degli altri fenomeni di questa epoca.
Nelle scorse settimane lo svizzero ha dichiarato: “La mia carriera sta per finire. Ma non ho paura”.
“It’s never too late”, è il consiglio che si è dato, ancora una volta, da buon amico di sé stesso, per caricarsi in vista dei prossimi impegni, prima dei titoli di coda del suo romanzo sportivo.
La cosiddetta Stan Motivation. La motivazione di chi è consapevole che il tramonto si avvicina, ma sa bene che è di notte che si scrivono le storie migliori.
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