Tiziana Pikler segue il nostro sport da trent’anni, con presenze nei tornei più importanti del mondo. E’ una grande conoscitrice del circuito, scrive, tra gli altri, per il Sole 24 Ore ed una grande fan di Andrea Gaudenzi, presidente dell’Atp, tanto da essere arrivata a creare un club in suo onore.
Tiziana, sei una giornalista esperta di tennis, parlaci di come sei arrivata a svolgere questa professione.
Mi sono avvicinata al mondo del tennis collaborando prima con Tennis Oggi e poi con Matchpoint. All’inizio le mie vacanze estive le trascorrevo in giro per tornei insieme a un gruppo di amiche. Tappe fisse erano le settimane di Kitzbuhel, Umag, San Marino per finire a Palermo. Da romana gli Internazionali d’Italia sono sempre stati un altro appuntamento irrinunciabile: sono accreditata al Foro Italico da quasi trent’anni. Poi, pian piano, sono arrivate le trasferte per i tornei del Grande Slam, il Master di fine stagione, la Coppa Davis e la Fed Cup. Unico rammarico, finora, essere stata a una sola Olimpiade: Atene 2004. E con gli anni sono cambiate anche le collaborazioni, fino ad arrivare a oggi con Il Sole 24 Ore e Prima Comunicazione.
Secondo te come mai l’unico Major che ha deciso di annullare il torneo è stato Wimbledon mentre gli altri hanno deciso di riprogrammarlo?
Credo che i fattori siano due: l’impossibilità di riprogrammare il torneo in una data alternativa sia per il manto erboso sia per il meteo londinese e la copertura dell’assicurazione con 100 milioni di euro. La terra e il cemento sono superfici con una stagionalità più lunga. E Parigi e New York hanno un meteo più clemente anche in diversi mesi dell’anno.
Ci hai confessato di essere una fan di Gaudenzi sin da quando era giocatore. Cosa ti colpiva di lui?
All’inizio è nato tutto per caso. Non ero una sua grande fan. Io mi sono avvicinata al tennis grazie a Boris Becker. Una mia amica mi chiese di mettere un annuncio sull’allora Matchball perché cercava una registrazione (allora c’erano le VHS) dell’incontro tra Gaudenzi e Brad Gilbert a Tel Aviv. Era il 1993 e Andrea aveva battuto l’americano in due set, raggiungendo poi i quarti di finale. Dopo qualche tempo mi telefonò a casa la madre di Andrea: voleva sapere se avessi trovato quella registrazione perché non era riuscita a vedere quell’incontro. Abbiamo chiacchierato un po’ e così mi è venuta l’idea di creare un Fan Club. Glielo proposi e lei mi rispose che era una bella idea e che ne avrebbe parlato con Andrea. E così ho iniziato. Io ho preparato le tessere per gli iscritti e mi sono fatta carico di realizzare un giornalino periodico. Andrea ci mandava gadget e aggiornamenti. Ricordo ancora come facevo quel giornalino: fogli A4 piegati in due e spillati, macchina da scrivere e coccolina, poi fotocopie rigorosamente in bianco e nero e spedizione via posta. Sembra un secolo fa.
Ora è il capo dell’ATP, secondo te sarà bravo anche come dirigente?
Secondo me sì e non è una risposta per piaggeria. Andrea è sempre stato un ragazzo molto intelligente, ha studiato, si è laureato e poi ha iniziato a portare avanti un suo business oltre a rimanere comunque nel mondo del tennis. Ha fatto esperienze diverse, in ambiti differenti, che credo potranno rappresentare un importante valore aggiunto anche nel circuito tennistico. Ha una visione che guarda al futuro, da businessman al passo con i tempi. Anzi un passettino più avanti.
Secondo te come mai il tennis femminile italiano ha avuto un calo vistoso?
Semplicemente perché a seguito dei grandi successi ottenuti da Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Roberta Vinci, Sara Errani e, aggiungo, Mara Santangelo non è stato costruito un movimento. È vero che le fuoriclasse le dona Madre Natura però le buone giocatrici crescono con una progettualità e degli investimenti seri e concreti: se si crea un movimento solido, il cambio generazionale si arriva a garantirlo. In caso contrario si naviga a vista.
In campo maschile abbiamo avuto un boom, forse abbiamo trascurato il settore femminile?
In Italia, non solo nel tennis, si tende a privilegiare le discipline al maschile. Tra le donne servono la star come Deborah Compagnoni prima o Federica Pellegrini oggi per avere i medesimi riscontri in termini di sponsor e di mediaticità. Il “boom” al maschile a cui fai riferimento si deve al lavoro e all’impegno di singoli, non certo a un piano di sviluppo di un movimento.
Nuovo format della Davis. Cosa ne pensi?
Sono assolutamente contraria e rimarrò sempre una nostalgica della formula tradizionale. Il fascino della Coppa Davis sono le sfide in un tabellone programmato nell’arco dell’intera stagione e soprattutto le sfide memorabili al quinto set.
Ritiro di Maria Sharapova. Il tuo parere in merito.
La verità? Pensavo avvenisse prima. Sono anni ormai che Maria si è preparata il terreno per il post-carriera e credevo che la mancanza di affermazioni prestigiose, oltre agli infortuni, la facesse allontanare dal circuito qualche stagione fa. Quando si ritireranno anche le sorelle Williams, il tennis femminile avrà davvero bisogno di tenniste da copertina.
Mi dicevi che collabori con la Federazione, di cosa ti occupi?
Non collaboro e non ho mai collaborato con la Federazione Italiana Tennis. Però seguo il tennis per le testate con le quali collaboro, da Sport&Business de Il Sole 24 Ore a Prima Comunicazione. Nell’ultima edizione del Grande Libro dello Sport, per esempio, mi sono occupata delle pagine dedicate alla Fit, nate da una collaborazione di cui mi sono fatta promotrice in prima persona tra la Federazione e la testata. A loro però devo dire un grazie. Mi hanno permesso di fare la presentazione del mio primo libro, “Il gioco e lo sport nelle arti pittoriche. Dalle origini all’Ottocento” al Foro Italico durante l’edizione 2011 degli Internazionali, ospite dello stand Bnl. È stato il mio battesimo come scrittrice.
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