Il tennis è uno sport strano. Nel giro di pochi anni, spesso anche mesi, ti ritrovi a passare dall’essere la principale promessa del tennis mondiale a giocatore finito in cerca di un’identità perduta. E’ successo a Grigor Dimitrov, 28 anni, fino a tre anni fa definito da tutti il baby-Federer (un nomignolo che lui stesso ha chiesto che gli fosse tolto, visto che non gli ha portato benissimo) e poi crollato sotto il peso delle aspettative.
Ebbene, il tennis toglie, il tennis dà. E così il bulgaro si è ritrovato davanti, nei quarti di finale degli Us Open, proprio Roger Federer, che nei sette precedenti non gli ha mai lasciato scampo. Ma questa volta è andata diversamente. “Questa è la serata di Grigor“, come dirà elegantemente nell’intervista post-match un Roger il cui gioco è stato condizionato da un evidente fastidio alla schiena.
Ma Dimitrov è stato bravo a farsi trovare pronto per l’appuntamento con la sorte. Ha perso il primo set, recuperato nel secondo quando la partita sembrava ormai indirizzata, abile a resistere dopo la sconfitta nel terzo, sfruttare la discontinuità nel gioco di Federer, soprattutto da fondo campo, dettata dai problemi fisici, e chiudere in cinque set e tre ore e dieci minuti di gioco.
Per il bulgaro (precipitato in posizione numero 78 del ranking Atp) si tratta della terza semifinale Slam (dopo Wimbledon 2014 e Australian Open 2017). Proverà a conquistare la prima finale della carriera venerdì contro Daniil Medvedev. Non sarà semplice.