Djokovic, Ivanisevic e i deliri della politica
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Come molti di voi sapranno, Goran Ivanisevic è entrato a far parte dello staff tecnico del numero uno del mondo Novak Djokovic. Nole ha celebrato questa notizia sui social e sulla stampa, sottolineando la bontà di tutto questo e parlando di “sogno che si realizza”. Niente di strano, direte voi. Se non la curiosità di vedere all’opera un binomio di due grandi del tennis e l’impatto che potrebbe avere per Djokovic.

E invece no, perché c’è un particolare che non sfugge ai più. Novak è serbo, Goran è croato. E in quel crogiolo di rivalità, odi e rancori che sono i Balcani, questa cosa non è andata giù a tutti. I quotidiani e i tabloid filo-governativi di Belgrado hanno parlato addirittura di “tradimento” da parte di Djokovic nei confronti dei propri fan. La colpa sarebbe proprio quella di aver aperto le porte del suo staff all’odiato croato Ivanisevic, non tenendo conto che la guerra tra serbi e croati ha provocato centinaia di migliaia di vittime e portato immani sofferenze.

L’ex giocatore di basket professionista, che ha militato anche in Nba, Darko Milicic ha ironizzato, dicendo che “Djokovic mostra esplosioni d’amore verso i croati e non pensa alle molestie, le offese, le perdite che hanno subito i cari dei suoi fan durante la guerra“.

Consentiteci di dire che questo tipo di polemica è brutale, disarmante e delirante. Come se Ivanisevic fosse il responsabile di ciò che è accaduto più di vent’anni fa tra serbi e croati. Come se Novak Djokovic, una star globale, dovesse stare attento a non ferire la sensibilità dei fanatici nazionalisti prima di compiere delle scelte tecniche. Compito dello sport è unire, non dividere ciò che la politica vuole continuare a fare. E Darko Milicic che si presta a questo gioco al massacro è davvero penoso.

Vai avanti Nole, fregatene di chi vuole seminare odio e rancore. Sei il numero uno del mondo e Goran è un grande. Divertitevi e fateci divertire. E, perché no, insegnate ai vostri popoli che condividere gioie e dolori, insieme, è molto meglio che farsi forti davanti ad una rivalità che non ha più ragione di essere.

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