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Coppa Davis, i pro e i contro della rivoluzione

Dopo 118 anni di storia gloriosa, contraddistinta in verità da numerosi e vorticosi alti e bassi, la vecchia formula della Coppa Davis va in soffitta e viene sostituita da un nuovo, rivoluzionario, schema.

Ad Orlando, Florida, la consueta assemblea dell’IFT (Federazione Internazionale Tennis) ha votato a larga maggioranza la riforma voluta dal presidente David Haggerty, che sarà in vigore a partire dall’edizione 2019. Non sbaglia chi, come noi, parla di rivoluzione, perché il torneo subirà un vero e proprio mutamento genetico, andando ad assomigliare sempre più alla fase finale di un mondiale di calcio, di rugby o di basket.

Queste, in sintesi, le novità principali.

  • Fase finale a novembre in una sede unica (la prima sarà a Lilla, in Francia, nello stesso stadio che ha ospitato le finali del 2014, vinta dalla Svizzera e del 2017, vinta dalla Francia)
  • Fase preliminare a febbraio con 24 squadre che si affronteranno seguendo le regole della vecchia formula
  • Le 12 vincitrici della fase preliminare, accederanno così alla fase finale dove saranno già presenti le 4 semifinaliste dell’anno precedente oltre a 2 wild card concesse dall’ITF. Per un totale quindi di 18 squadre.
  • Le 18 squadre si affronteranno a novembre in 6 gironi da 3 squadre ciascuna, cui seguirà fase a eliminazione diretta, a cui accederanno le prime classificate di ogni girone e le due migliori seconde: quarti, semifinale e finale
  • Le squadre classificate ultima e penultima, ovvero al 17° e 18° posto, retrocederanno nei gruppi zonali tutt’ora esistenti. Mentre le altre 12 squadre piazzate tra il 16° e il 5° posto, torneranno per l’anno successivo alla fase preliminare di febbraio.
  • In termini di regole del torneo vero e proprio la fase finale si giocherà lungo il corso di un’intera settimana. Con tutte le sfide tra nazioni che si giocheranno in una sola giornata e consisteranno in due singolari e un doppio. Il tutto giocato al meglio det 3 set e secondo le regole classifiche sia per il singolare che per il doppio: quindi tie-break nel terzo set per tutti e niente killer point.

Ecco, dunque, che dopo anni di discussioni su come rivitalizzare un torneo spesso snobbato dai migliori a causa di un calendario fitto e modalità troppo lunga e probante, la riforma è servita. Con il decisivo apporto del gruppo di investimenti Kosmos, fondato e presieduto dal calciatore catalano del Barcellona Gerard Piqué e dal suo socio Hiroshi Mitikani. Dietro tutto questo, un giro d’affari da 3 miliardi di euro e la grande scommessa di riportare i big del circuito a disputare la Coppa Davis.

Come ovvio che fosse, la decisione non è passata inosservata, anzi. Le voci favorevoli e quelle critiche si moltiplicano ora dopo ora. C’è chi sostiene che la scommessa si rivelerà vincente perché effettivamente questa nuova formula (e i soldi, tanti, che ci sono dietro) attireranno i grandi tennisti, fino ad oggi molto restii e prendere parte alla competizione per nazioni. Ma c’è anche chi critica il cedimento alla regola del dio denaro che ormai la fa da padrona su tutto.

Al di là della filosofia, bisogna registrare che la nuova Coppa Davis, semplicemente, non sarà la Coppa Davis. Sarà un’altra cosa. Sicuramente molto più vendibile agli investitori, con montepremi altissimi in grado di attirare i tennisti miliardari, con prospettive enormi di ricavi dai diritti tv e dai biglietti che verranno acquistati a peso d’oro. Sarà un mondiale del tennis e vincerà la propria scommessa solo se i Federer, i Nadal e i Djokovic lo riterranno tale e non solo un’occasione per esibirsi e divertirsi.

L’epica romantica della Coppa Davis finisce. Finiscono le trasferte, le partite infinite, le superfici diverse, il pubblico amico (o nemico), lo spirito di una competizione che ha accompagnato il tennis da quasi 120 anni. Il tempo ci dirà, abbastanza presto, se è valsa la pena sacrificare un pezzo di storia del nostro sport.

Stefano Cagelli

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